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 2025  marzo 23 Domenica calendario

La rivolta dei ventenni nati sotto Erdogan “È in gioco la libertà”

La persona che legge Rousseau è seduta con le gambe incrociate davanti a una colonna di veicoli blindati dell’antiterrorismo, ricorda l’uomo solo di piazza Tienanmen. Ha un cappello di lana e la sciarpa che copre il viso ma non gli occhi, il Contratto sociale tra le mani, simbolo di una generazione che rivendica sovranità al popolo contro l’assolutismo del Re. È la notte del 21 marzo davanti alla Middle East Technical University (ODTÜ) di Ankara, la capitale turca, un campus prestigioso che forma élite e sforna ribelli. Da cinque giorni gli studenti sono in tumulto. Scene che in Turchia non si vedevano da anni: cortei fiume che avanzano in pace. Due mattine fa si sono lanciati compatti, a mani nude e corpo teso, contro il cordone di polizia: volevano aprire un varco per potersi unire agli altri studenti già in strada.
La foto di Ankara viene condivisa dal giornalista Batuhan Çolak che ci dice di averla ricevuta da un suo lettore di cui non può rivelare l’identità. Viene ripresa da docenti e studenti, diventa virale, icona di una generazione che ha conosciuto solo il potere di Erdogan, e ora guida le piazze. Sono ventenni pronti a sfidare i divieti e le carichedella polizia, gli arresti – più di 300 finora – e la censura online a cui dà una mano anche l’auto-proclamato profeta della libertà di espressione, Elon Musk: X ha assecondato le richieste del governo turco di sospendere decine di account di universitari che usavano la piattaforma per invitare a manifestare. La legge del resto lo consente, e X non vuole rischiare di essere totalmente spento in Turchia.
Janset, 25 anni, non se ne preoccupa molto. «Preferiamo organizzarci incontrandoci di persona o con le chat», racconta, lei che allapiazza non è nuova. «Ho partecipato alle proteste del 2021 contro le nomine dei rettori decise dal governo. Amo il mio Paese e sono preoccupata per la mia libertà, la democrazia, non voglio un sistema giudiziario in cui tutti possano essere accusati di qualsiasi cosa e trascorrere anni della loro vita in carcere». Pochi nei cortei credono all’indagine che ha travolto il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, promesso candidato dell’opposizione alle prossime presidenziali. Non credono alle accuse, all’indipendenza dei procuratori, non leggono i giornali che considerano controllati dal governo. L’arresto per tutti è stato il segnale d’allarme rosso. «Per la prima volta da decenni l’opposizione viene perseguitata apertamente al punto che il sistema elettorale è compromesso. È nostro dovere opporci a ciò che sta accadendo ed è nostro diritto costituzionale protestare».
In un caffè affollato davanti all’università di Istanbul, Zeynep sembra molto indaffarata, parla fitto con altri studenti di come raggiungere il palazzo del Comune. Ha 25 anni, studia teatro. «Ho trascorso tutta la mia vita sotto il regime di Erdogan, un uomo solo al comando, voglio un cambiamento, vogliola libertà e la democrazia». Sono i fratelli minori dei manifestanti di Gezi Park, la grande rivolta del 2013 che fu soffocata con la repressione. «Gezi è stato il momento più prezioso della mia infanzia, un’eredità di resistenza e rivoluzione. Ora stiamo marciando sulle spalle di coloro che l’hanno costruita».
Ma questa volta c’è qualcosa di più, di diverso. Un’economia che naviga in acque tempestose, con il 16% di disoccupazione giovanile e un senso di sfiducia tra i più giovani, convinti di avere poche prospettive per il futuro. E la convinzione che in gioco ci sia l’esistenza stessa del più antico partito della storia repubblicana, il Chp. «Anche gli altri partiti di opposizione si sono uniti alle manifestazioni perché hanno capito che la posta in gioco è alta e coinvolge anche loro». Ecco perché nelle piazze i giovani intonano cori che tornano a Bertold Brecht: «Nessuno o tutti – o tutto o niente. Non ci si salva da soli». E non si retrocede, nonostante l’enorme dispiegamento di forze di sicurezza. «La situazione è rischiosa, la polizia fa paura certo – risponde Janset – ma mi sentirei in colpa se affidassi i miei diritti e il mio futuro al coraggio degli altri».