Il Messaggero, 23 marzo 2025
Tlc, in tredici anni in Italia bruciati quasi 15 miliardi
Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, non ha usato giri di parole. Il settore delle Tlc, ha detto, «è un malato terminale». Parola pesanti, soprattutto se a pronunciarle è il manager che guida il principale gruppo italiano del settore e che, per ridurre il fardello del debito che pesava sulla vecchia Telecom, ha da poco ceduto a un consorzio partecipato da Kkr e dal governo italiano tramite il ministero dell’Economia, la rete di trasmissione fissa. Ma Labriola non è il solo a pensarla così. Da Gianluca Corti, numero uno di Wind Tre, a Benedetto Levi, il capo azienda di Iliad in Italia, sono tutti d’accordo.
I REPORT
Le società di telefonia in Italia sono in uno stato comatoso. Per rendersene conto basta scorrere i report che periodicamente vengono pubblicati da Asstel, l’associazione confindustriale che rappresenta il settore. Nel 2010 gli operatori fatturavano tutti insieme 41,9 miliardi di euro, 21,7 miliardi nella telefonia mobile e 20,2 miliardi in quella fissa. Nel 2023, ultimo anno per il quale i dati disponibili sono completi, il fatturato totale delle società è sceso a 27,2 miliardi, 15,7 nel fisso e 11,5 nel mobile. In soli tredici anni il settore ha perso ricavi per quasi 15 miliardi di euro (14,7 per l’esattezza). Sulle ragioni di questa debacle sono tutti d’accordo: è l’effetto della ferocissima guerra dei prezzi che da anni le stesse compagnie combattono tra di loro a suon di offerte. A far capire quanto giù siano stati spinti i prezzi, è una ricerca realizzata da Domenico Lombardi, direttore della Luiss Policy Observatory, insieme a Cesare Pozzi, professore di economia applicata all’Università di Foggia e Davide Quaglione, ordinario di economia industriale all’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Negli Stati Uniti, spiega la ricerca, il costo medio di 1GB di dati mobili è di 6 dollari, in Giappone di 3,48 dollari, in Germania di 2,14 dollari, in Italia di 9 centesimi di dollaro.
Per i consumatori potrebbe sembrare una gran bella notizia. Parlare, navigare, scambiarsi messaggi su Whatsapp, costa praticamente quasi nulla. Ma l’altra faccia della medaglia è che le società che forniscono il servizio di connettività, sono sempre meno profittevoli e, poco alla volta, stanno riducendo i loro investimenti nelle reti. Il che, in prospettiva, significa un servizio peggiore. Da cinque anni a questa parte, gli investimenti del settore sono costanti attorno ai 7 miliardi di euro l’anno. Tenendo conto dell’inflazione, significa che in termini reali sono scesi del 19 per cento. Ma soprattutto, a tenerli in piedi, sono stati anche i fondi del Pnrr, i 5,3 miliardi di euro per Italia a 1 Giga, Italia 5G e altri programmi.
IL PASSAGGIO
Le società non riescono, da sole, a uscire dalla guerra dei prezzi. Si scambiano accuse reciproche. Gli operatori più grandi, Tim o Wind Tre, puntano il dito contro i nuovi entranti come Iliad, che avrebbe esacerbato con le sue offerte il ribasso dei prezzi. Iliad risponde accusando i competitor di una conventio ad excludendum. I big utilizzerebbero delle offerte scontatissime “riservate” ai soli clienti che abbandonano Iliad. Una pratica giudicata scorretta dall’operatore francese. Il punto è che, da sole, le società di telecomunicazione non sembrano riuscire ad arrivare a una pace. È come il paradosso del cinema, dove uno spettatore si alza per vedere meglio il film e costringe tutti gli altri ad alzarsi. Per far rimettere tutti seduti l’unico modo è l’intervento del gestore che accende le luci e invita a riprendere posto.
IL SETTORE
In questo un ruolo potrebbe averlo il governo. Per il 24 marzo il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, insieme a quello del lavoro, Marina Calderone, ha convocato un tavolo per il settore che potrebbe trasformarsi in un tavolo di “crisi”. Gli operatori porteranno le loro richieste. Alcune ritenute fondamentali per dare fiato e certezze al settore, come iniziare a considerare le telecom come un comparto energivoro in modo da far risparmiare soldi sulle elevatissime bollette energetiche che sono chiamate a pagare. Ma anche di evitare che il prossimo rinnovo delle licenze di telefonia mobile, previsto per il 2029, si trasformi in un altro bagno di sangue, dopo i 5 miliardi pagati per il 5G. Costi che il settore non sarebbe in grado di sostenere, vista la mancanza di investitori disposti a fornire i capitali.
Ma il governo potrebbe avere voce in capitolo anche nel passaggio considerato più importante e delicato per mettere fine alla guerra dei prezzi: il consolidamento del settore. Dopo l’unione di Fastweb e Vodafone, e quella di Wind e 3, tutti gli sguardi sono puntati su Tim, nel cui capitale è appena entrata Poste con il 9,81 per cento. Il possibile matrimonio a cui tutti guardano è quello con Iliad, l’unico probabilmente in grado di far riporre le armi e portare a una pace dei prezzi.