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 2025  marzo 23 Domenica calendario

Intervista a Cinzia Th Torrini

Documentari, film, serie e miniserie. Cinzia Th Torrini, regista nata a Firenze settant’anni fa ma ormai romana da una vita, dal 1981 in poi per la tv ha fatto di tutto, sempre con grande successo (Elisa di Rivombrosa, Don Gnocchi, La Certosa di Parma etc.). È una donna che lascia il segno. Con il cinema è andata diversamente, ma questa è un’altra storia (nel 1987 in Messico, Colombia e Usa ha girato il controverso Hotel Colonial con Robert Duvall, John Savage e Massimo Troisi). Dopo il fortunato Sei nell’anima, film Netflix del 2024 sulla vita di Gianna Nannini, domani sera su Rai1 va in onda Champagne, storia di Peppino di Capri, della sua famiglia e delle sue donne, dal 1943 al 1973, anno del suo primo posto a Sanremo con Un grande amore e niente più.
Sia sincera: a 19 anni – poco prima di andare a Monaco di Baviera, in Germania, per studiare all’Accademia di cinematografia – ascoltava Peppino di Capri?
«No, per carità. Pensi che quando mi hanno proposto di fare questo film volevo rifiutare.
Non avevo voglia di raccontare la vita di un altro cantante. Poi è bastato un semplice incontro con Peppino, a Capri, e mi sono fatta conquistare dalla sua umiltà, dalla sua autoironia e dalla sua storia di bambino prodigio ha l’orecchio assoluto che durante la Seconda guerra mondiale, sfamò la famiglia suonando il pianoforte per i soldati americani. Ho cambiato idea e ho accettato subito. Se seguo il flusso delle mie emozioni, alla fine va tutto bene. È il mio destino. Sono fatta così».
E per assecondare le sue passioni cosa c’è voluto?
«La testa dura. Quando dissi a mio padre che dopo il liceo linguistico mi sarebbe piaciuto andare a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia, mi diede una sberla. Nella Capitale, mai. Per lui da quelle parti avrei perso solo tempo. Però, forse, da qualche parte, in Europa, l’avrebbe accettato. Siccome avevo studiato il tedesco, mi organizzai subito. In Accademia insegnava un genio come Rainer Werner Fassbinder... Riuscii a farmi riconoscere gli esami sostenuti alla facoltà di Lettere, a Firenze, e feci la selezione: su 1750 aspiranti ne presero 40. Io ero fra questi. Ce l’avevo fatta. Mio padre se fossi passata si era impegnato a mantenermi».

In generale si definirebbe più coraggiosa o incosciente?
«Non lo so. Di sicuro, se ho un obiettivo, faccio di tutto per centrarlo. Anche adesso. Per girare Champagne, per esempio, avevo un terzo dei soldi di Sei nell’anima, quindi ho dovuto fare i salti mortali per riuscire a fare quello che avevo in mente. Ne è valsa la pena».

Il suo secondo film per il cinema, “Hotel Colonial” del 1987, è stato anche l’ultimo: perché?
«Non avevo trovato un finanziatore in Italia e lo trovai in America, cosa che mi attirò le cattiverie di un sacco di gente: mi massacrarono dicendo che ero una raccomandata, parente del gioielliere Torrini di Firenze che faceva i gioielli per la Regina d’Inghilterra. Addirittura la sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico mi chiese se potevo farle modellare un David di Donatello in oro...».
Era vero?
«No.
Mio padre aveva una piccola impresa di costruzioni. E una settimana prima dell’uscita del film, a soli 62 anni, nuotando in piscina morì all’improvviso d’infarto. Insomma, una tragedia. E non è che dopo avessi tanta voglia di lasciare il resto della mia famiglia per fare promozione. Cosa che i produttori mi fecero ovviamente pagare. Con gli incassi il film partì anche bene, ma dopo due settimane tolsero il film dalla circolazione: doveva fare spazio a quello nuovo di Ettore Scola, La famiglia. Dopo uscì in tutto il mondo, ma non incassò quello che era costato, anche se passò nelle tv di tanti Paesi. Per chi lo finanziò andò male e da lì in poi per me nel mondo del cinema è stato tutto un po’ difficile: è così che iniziai a lavorare per la tv».

E più ne faceva, con successo, e più in qualche modo la scontava, giusto?
«Fare tv fino a qualche anno fa era visto malissimo dalla gente del cinema. Mi massacrarono. Ricordo una collega che mi disse con molta accidia: “Tu ora fai televisione, fai i soldi...”. Come se mi fossi svenduta e non facessi più il suo stesso lavoro. Adesso, neanche a farlo apposta, è completamente diverso. Tutti vogliono fare le serie».

È vero che Robert Duvall il primo giorno sul set di “Hotel Colonial” le fece un test durissimo?
«Sì. Fece una scenata isterica senza alcun motivo e si rinchiuse nel suo camper. Io entrai, lo trovai steso sul letto e gli dissi che avremmo parlato e risolto ogni problema. Lui mi rispose così: “A me nessun regista può dire cosa devo fare”. Mi incazzai un po’, il giusto, e gli feci capire che il mio ruolo era proprio quello. Capì l’antifona. Dopo scoprii che faceva questo siparietto all’inizio di ogni film per capire con chi aveva a che fare».


Tutto questo a conferma del detto che, forse in maniera brutale, gira da sempre nel mondo del cinema: gli attori più sono scemi e più sono bravi?
«Oddio... Se rispondo a questa domanda dopo non verrà più nessuno a lavorare con me.
Io credo fermamente che un vero attore, uno di quelli bravi, un fuoriclasse, non deve avere un ego troppo sviluppato ma avere un grande cassetto vuoto dentro di sé per fare in modo che ogni volta possa entrarci il personaggio che deve interpretare. Sa, spesso fuori dal set, tutti loro, uomini e donne, sono molto diversi da come sembrano nella finzione».

Come?
«Nella vita di tutti i giorni, essendo un’altra cosa rispetto agli uomini e alle donne che interpretano, possono deludere. Succede a molti. Hanno tutt’altra personalità, spesso vanno in depressione. Detto questo, li amo sempre e comunque: hanno una grande generosità perché comunque ogni volta danno un pezzo di loro stessi al progetto di cui fanno parte».

Tutti gli attori che ha lanciato o valorizzato fra i tanti anche Luca Zingaretti, Vittoria Puccini e Barbara Ronchi le sono grati o hanno la memoria corta?
«C’è chi dice che porto fortuna, tanti lo riconoscono, ma ringraziare per tanti di loro è troppo... Forse al mio funerale, fra cent’anni, verranno a piangere un po’. Chi lo sa? Comunque sono serena, conosco il gioco e so che funziona così».

Che vuol dire Th?
«Ho scelto di usarlo a 12 anni e non l’ho mai detto a nessuno».

Online ho visto che è la sigla dell’elemento chimico torio, che ha a che fare con la potenza, gli elementi primordiali, e anche con gli ormoni: parliamo di questa roba qui?
«Per me ha un significato molto importante, è dentro di m molto ben custodito. Infatti quando qualcuno mi dice che vuole rivelarmi un segreto, io rispondo che lo metto nel cassetto del Th».

L’ossessione numero uno, il pensiero ricorrente che si porta dietro da una vita, qual è?
«Sicuramente il mio metro e 50. Mi sono sempre detta che nessuno mi avrebbe messo i piedi in testa. Ho sempre voluto essere forte come un uomo e più intelligente di lui».

Finora ha raccolto il giusto? Si sente in credito o in debito?
«No. Mi considero in credito. Ma non mi lamento e mi sta bene così. Da ragazza mi dissero che avrei avuto sempre Saturno contro e così sono abituata a lottarci da una vita. Non mi dò per vinta».

Per caso ha conti in sospeso con qualcuno?
«No. Ma avrei potuto averne. Da ragazza ho avuto un primo amore molto violento. Poi mia madre scoprì i lividi e mi fece un bel discorso: non devi dipendere da nessuno, mai. Io e tuo padre non ci siamo sacrificati tutta la vita per vederti così. Poi, vabbè, cercò di aiutarmi portandomi da un astrologo di Roma, ma questo è un altro discorso».

La rinuncia più grande, se c’è stata, quale è stata?
«Un figlio mi sarebbe piaciuto. Però sono una donna che deve controllare tutto e non credo che ce l’avrei mai fatta a fare il lavoro che amo ed essere madre come avrei tanto voluto essere».

Ha un compagno?

«Sì, certo. Ralph Palka, un attore tedesco, al mio fianco ormai da 28 anni. Non ci siamo sposati, ma c’è una condivisione importante. Siamo una bella coppia. Lui ha anche imparato l’umorismo italiano, gli riescono battute fulminanti. Prima con quello tedesco un po’ meno».