Avvenire, 23 marzo 2025
Mine, l’inquietante salto nel passato Polonia e i Baltici stracciano il bando
Sarebbe un terrificante salto nel passato, indietro fino al secondo conflitto mondiale, quando le mine antiuomo hanno iniziato ad essere impiegate su larga scala, o agli anni del loro primo utilizzo, nelle trincee abbandonate della Grande guerra per sbaragliare l’avanzata nemica. Sarebbe come tornare ad anni davvero bui, anche se non si tratterebbe della prima volta, dopo l’uso che in Europa se n’è fatto negli anni Novanta in Croazia e Bosnia, e oggi in Ucraina.
In un’epoca di armi supertecnologiche e “intelligenti”, si decide di rispolverare quelle più stupide, e così questa settimana i ministri della Difesa di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania hanno annunciato un piano per il ritiro dei loro Paesi dal Trattato sulla messa al bando delle mine antiuomo, noto come Convenzione di Ottawa. Tre giorni fa, il ministro polacco Wladyslaw Kosiniak- Kamysz ha anche dichiarato che Varsavia è pronta ad avviare il lavoro per riprendere la produzione.
«Le minacce militari agli Stati membri della Nato che confinano con Russia e Bielorussia sono aumentate in modo significativo», ha scritto congiuntamente con gli omologhi dei Paesi Baltici, che insieme ritengono «fondamentale fornire alle forze di difesa flessibilità e libertà di scelta (…) per rafforzare il vulnerabile fianco orientale dell’Al-leanza». Motivo per cui “raccomandano” di ritirarsi dalla Convenzione. Adottata nel 1997, è stata ratificata da 164 Paesi, ma all’appello mancano firme pesanti, quelle di Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Iran.
La Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo (Icbl) ha definito l’ipotesi di ritiro una “notizia devastante”. «Tutti i Paesi hanno il diritto di proteggersi», ha affermato Tamar Gabelnick dell’Icbl. «Ma farlo consapevolmente ricorrendo a un’arma con un impatto catastrofico così comprovato sui civili è irresponsabile. Invece di comunicare forza, affidarsi alla vecchia tecnologia segnala disperazione e debolezza». Nell’ultimo rapporto del Landmine Monitor si dà conto, per il 2023, di 1.983 morti e 3.663 feriti per mine antiuomo e residuati bellici. I civili rappresentano l’84% del totale dei coinvolti, i bambini il 37% fra i civili. Il processo per sfilarsi dal trattato richiede tempo, diversi mesi per approvare una legge sul ritiro, più altri sei per implementare la nuova norma presso l’Onu. Per chi è stato lungo il confine tra Polonia e Bielorussia, intanto, è difficile capire come potrebbero trovare posto le mine. Dal 2021 Varsavia ha installato una barriera di acciaio alta oltre cinque metri e lunga 186 chilome-tri, con un moderno sistema di sorveglianza elettronica, telecamere e sensori di calore. L’obiettivo è impedire gli ingressi soprattutto di richiedenti asilo nel mezzo della “guerra ibrida” che Minsk e Mosca sono accusate di muovere contro l’Ue, agevolando chi migra. La scorsa estate, a Varsavia, Nana Ciastoñ, della Ong We Are Monitoring, parte della coalizione Grupa Granica, commentava: «Le autorità sono sotto stress per il confine, temono spie, un’ipotetica invasione russa. La narrativa bellica si mescola con quella contro i migranti, così le persone che arrivano ora non sono più esseri umani, ma proiettili sparati da Mosca o Minsk».
Proprio lungo la frontiera con la Bielorussia, in maniera diretta abbiamo osservato il già notevole dispiegamento di mezzi militari. Sono molte, però, le persone disperate che provano ad entrare in Europa da lì, e che restano bloccate nell’estesa foresta della regione (23.400 le richieste di aiuto alle Ong in tre anni).
La sola idea di minare un’area di passaggio di famiglie siriane, afghane e africane gela il sangue. Di fronte alla “disastrosa proposta” di ritiro dal trattato, Amnesty International ha chiesto di riconsiderare i piani. «Le mine antiuomo inesplose – scrive l’organizzazione – possono devastare intere regioni per generazioni. Il diritto umanitario internazionale proibisce l’uso di armi intrinsecamente indiscriminate. Lanciare intenzionalmente attacchi indiscriminati che uccidono o feriscono civili è un crimine di guerra».