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 2025  marzo 23 Domenica calendario

Pierre Boulez. Il nostro tempo suona così.

Bisogna prendere un respiro profondo prima di provare a descrivere in poche parole chi è stato, che cos’ha realizzato e rappresentato per il mondo della musica il compositore, direttore d’orchestra e saggista Pierre Boulez (Montbrison, Francia, 26 marzo 1925 – Baden-Baden, Germania, 5 gennaio 2016). Tra pochi giorni, mercoledì, ricorre dunque il centenario dalla nascita, che nel corso di tutto il 2025 verrà celebrato un po’ ovunque, attraverso concerti, festival dedicati (diversi dei quali sono intitolati Boulez 100), rassegne, seminari, incontri musicologici e un cofanetto di 84 cd (più 4 Blu ray): pubblicato dalla Deutsche Grammophon, contiene un mondo infinito di partiture altrui, che ha diretto negli anni. La sua musica invece (alla quale è dedicato un altro cofanetto di prossima uscita) è in grado di raccontare come già a partire dai primi lavori – le Sonate per pianoforte per esempio – Boulez mise in moto una svolta radicale nel pensiero compositivo. Con coerente continuità, senza passi indietro. All’interno di rigorose strutture, questo sì, ma duttili e flessibili nella ricerca di seduzioni timbriche e del più puro piacere del suono. Il libretto di oltre 200 pagine nel cofanetto si apre con una citazione lapidaria del maestro Simon Rattle (1955): «Un’intera generazione di noi è stata formata in tutto e per tutto da Boulez».
Il maestro Riccardo Chailly (1953) è di quella generazione. Prende il suo bel respiro e confessa a «la Lettura» che «parlare di Boulez, ancora adesso che ho più di settant’anni, mi mette soggezione. Perché vedo il grande uomo di cultura (suoi alcuni libri fondamentali, come Punti di riferimento; Einaudi, 1984, ndr), l’uomo che ha capito tanto del mondo della musica, che ha avuto la forza ideologica di non farsi mai spostare su altri orizzonti. Un personaggio che ha segnato il Novecento in maniera definitiva e indelebile. Lo ascoltai la prima volta alla fine del maggio del 1979, alla Scala, con l’orchestra dell’Opéra di Parigi: un giorno diresse la Lulu di Alban Berg con l’allestimento di Patrice Chéreau e il giorno successivo La sagra della primavera di Igor Stravinskij. Non dimentichiamo che Boulez ha diviso la storia interpretativa di questa partitura, tra un prima e un dopo di lui...». Si conobbero nel 1989: «Ero con l’orchestra del Concertgebouw al Théâtre du Châtelet di Parigi. Si presentò in camerino dicendomi che voleva seguire le mie prove, partitura alla mano: dovevo dirigere Formazioni di Luciano Berio». Nel 1997 Chailly portò alla Scala Notations di Boulez, «un capolavoro assoluto in cinque movimenti, della durata di quasi 20 minuti. Grande, grandissima musica, un’esperienza indimenticabile. Ricordo ancora la difficoltà, ritmica soprattutto, della seconda parte, dove nella scrittura porta ancora i segni evidenti del suo maestro, Olivier Messiaen».
Il direttore milanese dice di aver imparato molto dal collega francese, ma c’è una frase che gli è rimasta dentro: «Diceva sempre: su un’ora di prova, 45 minuti di musica e non più di 15 di parlato. Ho fatto mia quella regola». Nel 2016, l’anno della scomparsa di Boulez, Chailly andò a trovarlo nella sua casa di Baden-Baden. «Non stava affatto bene. Era evidentemente affranto dalla malattia, ma ha comunque ricevuto me e mia moglie Gabriella in un salottino, dove aveva fatto preparare del tè. Era elegante come sempre, ci ricevette in vestaglia di seta e pigiama. Con il suo sottile humor e con la sua gentilezza che ricordano tutti».
Anche Michael Haefliger (1961), sovrintendente del Festival di Lucerna dal 1999 – e in questo 2025, dopo 26 anni, al suo ultimo incarico – sottolinea con forza questo aspetto del carattere di Boulez, al quale dedica una parte importante della sua manifestazione, Cosmos Boulez (dal 15 agosto: lucernefestival.ch), con l’orchestra in residenza, che in apertura della prestigiosa rassegna eseguirà (con Chailly) lo straordinario Mémoriale (1985), per flauto e otto strumenti. «Un brano – dice Chailly – di assoluta chiarezza e trasparenza da un lato; dall’altro emerge quella sua tanto tipica scomodità armonica. Il suo linguaggio armonico è stato sempre super-evoluto, e spesso si scontrava con l’abitudine d’ascolto del pubblico».
«La prima cosa che feci quando fui nominato sovrintendente – rievoca Haefliger a “la Lettura” – fu di telefonare a Boulez. Lo avevo conosciuto quand’ero studente alla Juilliard School di New York e lui dirigeva la New York Phiharmonic Orchestra. Nel 2000 era già sul podio a Lucerna con la London Symphony Orchestra... Ma volevo fare assolutamente con lui qualcosa di duraturo e legato alla musica contemporanea: pensai alla creazione di un’Accademia Pierre Boulez a Lucerna. Quando glielo proposi, accettò senza nemmeno farmi finire di parlare. Mi disse che era quello che aveva sempre desiderato anche lui. Due settimane dopo abbiamo cominciato a progettare l’Accademia insieme: workshop per direttori, compositori, esecutori, le selezioni, un centinaio di studenti ogni anno. Creammo qualcosa di nuovo. Come docente, e come persona, Boulez era fantastico: aveva un’infinita ammirazione per i giovani musicisti e si sentiva molto responsabilizzato nel suo ruolo. Si vedeva come una parte dell’insieme: dava tutto sé stesso. Motivava tutti tantissimo, perché era motivato tantissimo lui. E c’era sempre». Aggiunge Chailly: «Nel 2019 ho diretto gli ex allievi di Boulez in un concerto con pagine di Arnold Schönberg, Bruno Maderna e Wolfgang Rihm. Ricordo ancora con stupore la disciplina e la cultura musicale con cui si sono avvicinati a questa musica: era evidentemente la lezione di Boulez che si era prolungata negli anni».
La violinista Jeanne-Marie Conquer (1965) fa parte dell’Ensemble intercontemporain, formidabile e storica orchestra da camera specializzata nel repertorio della musica contemporanea e creata da Boulez nel 1976 all’Ircam di Parigi, l’istituzione fondata dal compositore lo stesso anno nel Centre Pompidou e dedicata alla ricerca scientifica legata alla produzione musicale con mezzi informatici ed elettronici. Conquer, con Diego Tosi (violino), Odile Auboin (viola) e Renaud Déjardin (violoncello) – anche membri dell’Ensemble – dal 31 marzo al 4 aprile sarà ospite dell’Accademia Stauffer di Cremona (stauffer.org) per un workshop dedicato a giovani violinisti e quartetti d’archi, con la partecipazione di Jean-Louis Leleu, tra i massimi esperti di Boulez. Prove aperte, poi il 4 aprile una giornata di studi curata da Gianmario Borio e Ingrid Pustijanac e un concerto (ore 20.30) con gli stessi allievi del workshop insieme all’Ensemble intercontemporain. In un programma che mette al centro il Livre pour Quatuor (1948-49; e rivisto nel 2012), «libro per quartetto», la prima composizione di Boulez ispirata alla poesia di Stéphane Mallarmé. Conquer commenta: «È un libro difficile da aprire. Senza anni di esperienza a fianco di Boulez non saremo forse riusciti ad aprirlo...». Il Livre sarà eseguito anche a Lucerna (17 agosto) dall’Arditti Quartet.
Conquer è stata anche la solista in Anthèmes I e II (1991 e 1994). «Uno dei ricordi più belli e incredibili: dopo la prova, Pierre rimase sul palco seduto accanto a me per il concerto, davanti al pubblico! La sua presenza così vicina, invece di intimidirmi, mi diede ancora più fiducia».
Haefliger aggiunge: «Boulez è stato decisivo nello sviluppo della musica elettronica, nell’interazione fra questa e un ensemble di strumenti: ha avuto il merito di portarla in territori nuovi. Il 31 agosto faremo il suo Poésie pour pouvoir, per tre orchestre ed elettronica, in una nuovissima edizione, a cura del compositore Marco Stroppa, che fra l’altro è stato molto all’Ircam». Chailly cita il libro Conversazioni sulla direzione d’orchestra (La Nuova Italia, 1995): «Viene fuori tutto il senso etico del suo dirigere. C’è la descrizione di quelle che sono le sensazioni interiori, il senso del suo mandato, della sua responsabilità, della realizzazione di un pensiero collettivo che doveva sempre mirare ad onorare il compositore e non l’interprete». E conclude: «C’è una grande umanità nella sua musica. Un’umanità scomoda. Un’umanità che non ti arriva facilmente: la devi cercare e saper trovare. Ma c’è in ogni cosa che ha fatto».