La Lettura, 23 marzo 2025
Hollywood, la rivoluzione nera
Un tale concentrato di star non è da tutti i giorni. Sullo schermo ci sono Jamie Foxx, Morgan Freeman, Denzel Washington, Eddie Murphy, Will Smith, Dwayne Johnson, Daniel Kaluuya, Michael B. Jordan, Halle Berry, Whoopi Goldberg, Angela Bassett, Viola Davis, Octavia Spencer, Alfre Woodard, Cynthia Erivo, Tessa Thompson... Una carrellata di attori e attrici neri che a Hollywood hanno cambiato le regole del gioco.
Il 28 marzo su Apple Tv+ debuttano due documentari paralleli. Il titolo collettivo è Number One on the Call Sheet. Il primo film ha come sottotitolo Black Leading Men in Hollywood: è dedicato agli attori protagonisti (leading) e lo dirige Reginald Hudlin, già autore di un documentario su Sidney Poitier e la lotta per i diritti civili. Il secondo, Number One on the Call Sheet: Black Leading Women in Hollywood, fa parlare le attrici ed è firmato da Shola Lynch, autrice di Free Angela su Angela Davis. Un doppio appassionato racconto su cosa vuole dire essere al top nell’industria cinematografica: sfide, battaglie, conquiste e trionfi.
A parlare dei due film con «la Lettura» è Jamie Foxx, Oscar nel 2005 per il ruolo di Ray Charles nel biopic Ray e qui anche produttore (con Kevin Hart, Datari Turner e Dan Cogan): «Se guardi solo la superficie, sembra che al cinema e in tv si arrivi a brillare in uno schiocchio di dita. Ma non è così». Specie per attrici e attori neri. Le star di oggi brillano grazie alle conquiste dei grandi del passato: Sidney Poitier, Sammy Davis Jr, Harry Belafonte, Hattie McDaniel, Dorothy Dandridge, Cicely Tyson... E preparano la strada per le nuove generazioni.
Il call sheet del titolo è il documento che annota i piani di una giornata sul set, con l’elenco di attori e troupe: il primo nome sulla lista è quello della star del film. Per decenni gli attori neri hanno faticato ad arrivare in cima. Ora che ci stanno saldi, Jamie Foxx ne sente la responsabilità: «Con me porto il peso della cultura nera. Non faccio questo lavoro solo per intrattenere ma per essere di ispirazione, per raggiungere le piccole città come quella in cui sono cresciuto (Teller, Texas, ndr), dove magari c’è un bambino che sogna ma ha bisogno di modelli da seguire. C’è tanto talento là fuori».
Con Foxx ci sono i due registi. «Questi documentari – sottolinea Reginald Hudlin – vogliono aiutare a riconoscere gli ostacoli affrontati dagli interpreti di colore e proporre esempi su come superarli. Era importante realizzare due film separati per dare voce a donne e uomini. Per le donne, in questa società sessista, il percorso è stato ancora più dissestato». Aggiunge Shola Lynch: «Le attrici parlano di amore per il cinema e di sfide per mostrare a tutti come eccellere, cavalcare alti e bassi per lasciare il segno». Intervistata nel film Whoopi Goldberg dice: «Ero stanca di fare provini e non ottenere la parte»; e Viola Davis aggiunge: «Essere la più brava non basta». Molto è cambiato. Tanti passi sono ancora da fare. Un solo esempio? Halle Berry è l’unica donna nera vincitrice dell’Oscar come attrice protagonista. Undici in 97 edizioni sono le non protagoniste; cinque gli attori principali e sette i non protagonisti.
Hudlin ricorda che «ci sono film che hanno cambiato la percezione di tutti». La più recente rivoluzione è arrivata con Black Panther (2018), film Marvel dal cast quasi totalmente nero. Per molto tempo, anche dopo i successi strepitosi degli anni Novanta, si è però continuato a pensare che i black movie non potessero vendere oltreoceano: «Dove c’è più razzismo. L’ho sentito dire per tutta la carriera, non solo per il mio primo successo, Il principe delle donne (con Eddie Murphy, 1992, ndr), ma anche quando stavo producendo un film diretto da Quentin Tarantino (tra gli intervistati del documentario, ndr) con Jamie Foxx e Leonardo DiCaprio: nessuno vuole vedere un black western, dicevano». Era Django Unchained: «Mezzo miliardo di dollari incassato nel mondo». Questo vale anche per i documentari, sottolinea Lynch: «In Francia Free Angela è rimasto in cartellone sei mesi. Dicevano che non avrebbe venduto, ma la sua storia va oltre la razza. Siamo tutti esseri umani».
Attore e registi parlano anche dei «programmi Dei» – diversità, equità, inclusione – minacciati dall’amministrazione Trump, che i colossi hollywoodiani stanno riducendo. «Alla radice c’è la paura di una vera meritocrazia che dia a tutti le stesse opportunità», sottolinea Hudlin. «Le norme che tutelano le minoranze sono ancora necessarie», precisa Jamie Foxx: «Mi piace tutto dell’essere nero, ma non dobbiamo dimenticare che in questo Paese ci sono stati 400 anni di schiavitù e una cosa che dura così a lungo entra nel Dna. Ci ha totalmente svalutati e continuiamo a sentirne i retaggi. Quando Barack Obama è diventato presidente, la percezione dei neri è cambiata: sembravamo una nazione meravigliosa, con questo uomo nero ammirato da tutti. Se uno schiavista fosse stato svegliato dalla tomba gli sarebbe venuto un infarto e un sacco di persone bianche si sono spaventate. Ecco da dove viene la paura».
La riflessione di Jamie Foxx continua: «Io, Reginald e Shola negli anni Sessanta eravamo considerati contro la legge. Era ieri, ma c’erano bagni separati per bianchi e neri. L’inclusione è necessaria perché abbiamo tantissimo da offrire. E noi qui seduti vogliamo renderci utili. Ecco perché questi due film sono così importanti. Quando li abbiamo realizzati non sapevamo che il clima sarebbe stato questo: arrivano al momento giusto».
Hollywood è davvero cambiata, o semplicemente ha imparato a commercializzare la diversità? «Hollywood si è accorta che il nero è un ottimo ingrediente per ottenere un successo. Ma vinci quando ottieni un tiro libero e fai canestro», continua Jamie Foxx: «Una cosa è afferrare un’opportunità, un altra è riuscire a cambiare davvero le cose. Fai canestro quando il mondo inizia a riconoscere l’arte che hai da offrire al di là del colore della tua pelle. Siamo in continua evoluzione. La libertà resta la risorsa più importante dell’America». E raccontare storie il mezzo più potente.