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 2025  marzo 21 Venerdì calendario

C’era una volta la CNN

La fine di un’era dell’informazione, quella della prima rete via cavo a trasmettere in tempo reale dai luoghi dove i fatti accadevano, è simbolicamente riassunta nell’atto di quattro operai con caschetto giallo intenti ad agganciare a una gru le gigantesche e iconiche tre lettere rosse CNN. Acronimo di Cable News Network, dal 1987 accoglievano giornalisti e visitatori all’ingresso di quello che per quasi quarant’anni è stato, appunto, il CNN Center, quartier generale della tv un tempo più famosa del mondo. L’agglomerato di edifici era stato costruito a fine anni Settanta nell’area di Downtown Atlanta, non lontana dalla casa dove nacque il paladino dei diritti civili Martin Luther King e dalla Ebenezer Baptist Church dove predicò fino alla morte. Il Center (come si chiamerà d’ora in poi, senza più riferimenti alla tv) è stato venduto per 164 milioni di dollari a due società immobiliari della Florida: hanno l’obiettivo di trasformare in area commerciale lo spazio che per anni ha ospitato studi e redazioni giornalistiche e che fu scelto come sede nel 1980 da Ted Turner quando fondò la rete che avrebbe guidato per venti anni, fino al 2000, l’anno della fusione con Aol-Time Warner. L’addio al vecchio quartier generale – avvenuto esattamente un anno fa – non è che il sintomo più visibile della crisi di quella che fino a poco fa era una delle televisioni più seguite del mondo: ferita prima dalla trasformazione dell’informazione ai tempi di Internet, e poi dall’assalto di Trump e dei suoi che la vedono come il fumo negli occhi. E che da tempo usano contro CNN metodi simili a quelli che ora stanno mettendo in difficoltà l’Associated Press: nelle settimane scorse ai corrispondenti dell’agenzia di stampa è stato negato l’accesso allo Studio Ovale. Proprio come era accaduto nel 2018 a Jim Acosta, corrispondente dalla Casa Bianca del network tv.
Dall’Iraq a Katrina
Quando l’insegna sparì, alla CNN cercarono di minimizzare la forza simbolica della cosa, spiegando che le attività principali della rete si erano trasferite da tempo lì dove i fatti accadono: a Washington e a New York. E che CNN International (la versione che vedono i telespettatori fuori dagli Stati Uniti) e la redazione online, che sono rimaste ad Atlanta, avrebbero lavorato benissimo negli spazi più ristretti del Techwood Turner Broadcasting Campus, a Midtown, l’area amministrativa della capitale della Georgia. Lì, secondo un portavoce, tornerà presto l’iconica insegna, ora in restauro. Ma nell’attesa del logo CNN è diventata un’altra cosa. Lo certificano i numeri. Il canale è passato dagli 80 milioni di abbonati calcolati da Nielsen a marzo 2021, quando era il terzo più visto d’America, ai circa 69 milioni del 2023: crollata al 21esimo posto nella classifica. Per poi finire nel 2024 addirittura ultima. Un crollo pari al 74 per cento degli spettatori, ha quantificato il Wall Street Journal: abbastanza da spingere verso un drastico taglio di personale, annunciato qualche settimana fa e destinato a trasformare per sempre la rete che per quasi mezzo secolo ha raccontato la Storia nel suo compiersi. Nel 1991, in Iraq, fu l’unico canale americano a trasmettere da sotto le bombe – grazie a Peter Arnett, che piazzò la parabola satellitare sul tetto del suo hotel a Baghdad, scioccando il mondo con le prime immagini della Guerra del Golfo. Prima ancora aveva mostrato in diretta le immagini dell’esplosione del Challenger (1986) ed era stata – con il cameraman Jonathan Schaer – fra le poche a trasmettere da piazza Tiananmen (1989) durante la repressione della protesta studentesca, facendo arrivare al mondo il video del ragazzo solitario in maglietta bianca di fronte ai tank dell’esercito cinese. Celeberrima, poi, la copertura in elicottero della fuga dell’ex stella del football O.J. Simpson, accusato di aver assassinato la moglie (1994). Senza dimenticare l’incontro di Peter Bergen con Osama Bin Laden (1997), durante il quale il leader di Al Qaeda dichiarò ufficialmente guerra agli Stati Uniti. Ci furono poi la prima intervista live a un presidente americano condotta da Wolf Blitzer a Bill Clinton nello Studio Ovale (2000). E quella all’appena eletto presidente iraniano Mahmoud Ahmedinejad, realizzata da Christiane Amanpour, l’inviata che per la rete aveva coperto la caduta del Muro di Berlino, le guerre del Golfo e in Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan prima di accasarsi con uno show tutto suo. In tempi più recenti, memorabili la copertura dell’uragano Katrina con Anderson Cooper alle prese con la furia degli elementi (2005), il già citato scontro fra Donald Trump e il corrispondente dalla Casa Bianca Acosta, e i reportage di Clarissa Ward durante la conquista di Kabul da parte dei Talebani (2021).
Il braccio di ferro
Negli ultimi anni è stata invece soprattutto l’America a tenere impegnati giornalisti e dirigenti di CNN. Durante la prima amministrazione Trump ha abbracciato posizioni progressiste, controbattendo costantemente la narrativa del tycoon e della rete conservatrice Fox, alleata del presidente. Tanto da arrivare a più di uno scontro diretto: come quando Trump la chiamò «Fake News Network» e il conduttore di punta Anderson Cooper definì il presidente una «obesa tartaruga spiaggiata sulla schiena che si dimena sotto il sole cocente».Nel 2022, però, la nuova proprietà (Warner si è fusa con Discovery formando la Warner Bros Discovery) e la conseguente nomina di Chris Licht ad amministratore delegato, hanno dato una svolta verso il centro. Imponendo ai conduttori di non esprimere le proprie idee e di scegliere opinionisti di entrambi gli schieramenti. L’ad ha poi annunciato il più importante taglio di personale dalla nascita del network: via 200 giornalisti, il sei per cento del totale. L’intenzione è quella di spostarsi sempre più verso il digitale, abbandonando l’impegno h24 per concentrarsi sui servizi in streaming: «Una riorganizzazione che risponde ai profondi e irreversibili cambiamenti nel modo in cui oggi si consumano le notizie» spiega la direzione. Una fonte interna racconta al Venerdì che «a essere cancellati sono interi settori. Siamo in realtà al “si salvi chi può”: molti stanno cercando lavoro altrove».Fra le uscite che hanno fatto rumore c’è quella di Acosta, che ha rifiutato un programma che lo avrebbe relegato alla fascia notturna delle news: uno stratagemma del managment per non inimicarsi da subito la nuova Amministrazione, secondo quanto detto da diverse fonti (anonime) ai media Usa.
E c’è già chi si è reiventato con successo: l’esperto di nuovi media, Oliver Darcy, si è licenziato ad agosto per lanciare la newsletter Status che in pochi mesi gli ha permesso di guadagnare oltre un milione di dollari con i soli abbonamenti.«L’intero sistema delle tv via cavo è in declino: per via dei prezzi troppo alti delle produzioni e della crescente sfiducia verso i media tradizionali», ci racconta ancora la nostra fonte. Ricordando come nel 2024 il 60 per cento degli 1,8 miliardi di dollari di entrate di CNN provenivano da quei vettori, mentre Fox News ha ottenuto 12,3 miliardi di entrate raggiungendo il pubblico in modo più ampio: «Aumentare i guadagni è ormai la priorità di Warner Bros Discovery». Kyle Pope, direttore della prestigiosa Columbia Journalism Review ha detto al quotidiano inglese Guardian: «Licht cerca di tenere insieme due campi opposti. Ma con Trump alla Casa Bianca abbiamo a che fare con un modo scorretto di fare informazione». Una CNN più agguerrita, insomma, sarebbe più necessaria che mai. Magari cambiando formula: «I segnali di stanchezza rispetto alle notizie sono evidenti» ha concluso Pope. «Non ce la si fa più ad affrontare crisi ogni giorno. Gli spettatori sono esausti». CNN, forse, pure.