La Stampa, 22 marzo 2025
Samuele Bersani: “Così ho scoperto il mio tumore. In poche ore è cambiato il film della mia vita”
Come sapete sono un tipo molto riservato e se non fosse stata una cosa importante non avrei rinunciato a un tour. Mi è costato scrivere quel messaggio su Instagram lo scorso anno ma è stato tale e tanto il ritorno di amore da aiutarmi a superare i momenti più bui. Ho avuto un tumore al primo stadio ma sono arrivato in tempo, all’Istituto dei Tumori di Milano mi hanno tolto il lobo di un polmone e fortunatamente non ho avuto bisogno di chemio o radio terapia».
Samuele Bersani, giovedì sera agli Arcimboldi lei ha sorpreso tutti perché giusto prima di Spaccacuore, ha rivelato qual era la malattia che l’ha spinta a cancellare il tour invernale.
«Ho deciso di aprirmi al pubblico raccontando la natura della malattia che mi aveva colpito e l’importanza cruciale della prevenzione. L’ho fatto perché lo dovevo alla gente che viene a trovarmi e a tutti coloro che si sono preoccupati per me. Si pensa sempre che certe cose capitino a qualcun altro. Quando succede a noi, non è facile rendere partecipi gli altri».
Infatti, su Instagram non disse di cosa si trattava.
«In quel momento non lo ritenevo importante. La quantità di appoggio, solidarietà e affetto che ho ricevuto dalla gente è stata enorme: dovevo una spiegazione. Mi è costato scrivere quel messaggio ma quello che ho ricevuto in cambio mi ha aiutato a superare quei momenti. Vorrei, ma non posso ringraziare tutti singolarmente. Non ho voluto rilasciare interviste ma ho preferito dirlo personalmente, soprattutto per lanciare un messaggio: la prevenzione è importante e magari serve a qualcuno. Io stesso mi sono fatto vedere perché sapevo cos’era successo a Luca Carboni che ha avuto lo stesso problema e mi ha sempre detto che la prevenzione è fondamentale. Se si ha anche solo un dubbio è meglio toglierselo subito. Ne va della propria vita».
Come ha scoperto che si trattava di un tumore?
«Avevo dei mal di schiena molto forti e sono andato dal mio dottore. A quel medico devo molto. Non volle farmi una semplice radiografia ma spinse per una Tac. Ricordo che gli infermieri, prima dell’esame, scherzavano, si complimentavano raccontandomi delle canzoni che conoscevano. Quando uscii da quel tubo lungo e stretto la loro grammatica cambiò repentinamente. Cominciarono a chiedermi se fossi un fumatore, qual era la frequenza dei dolori, insomma, c’era qualcosa che non andava».
Da lì possiamo solo immaginare lo stato d’animo.
«L’immaginazione non è abbastanza. Tra l’altro quando l’ho comunicato ai miei genitori è successa un’altra cosa piuttosto destabilizzante. Lo dissi a mia madre e aggiunsi che mi sarei operato da lì a poco ma la sua risposta mi gelò. “Samuele – disse – ho saputo di avere la stessa cosa anche io e mi devono operare a breve”. In poche ore, è cambiato il film della mia vita. La percezione di chi sta bene è totalmente distante da quella di un malato».
Sul palco ha detto che quel suo amico ha 10mila euro di tatuaggio su un braccio e 5mila sull’altro ma faceva fatica all’idea di dover spendere dei soldi per la prevenzione.
«Si, gli dissi quanto fosse importante averla presa in tempo e gli consigliai un check up ma era titubante. Ero convinto che avesse paura degli esami o degli aghi invece era spaventato dalla cifra che avrebbe speso. Certo, il servizio pubblico che abbiamo ci obbliga, a volte, ad andare dai privati e può essere costoso ma la vita è una».
Al di là delle sue sofferenze personali, l’altra sera si è tolto qualche sassolino dalle scarpe rispetto alla scena musicale italiana.
«Ho detto che sul mio palco non esiste l’autotune e ho aggiunto che se fossi sembrato polemico be’, era proprio il mio intento. Vogliamo parlare dell’autotune a Sanremo? Ma come si fa? È come se si partecipasse a una gara sportiva da dopati. A Sanremo l’autotune dovrebbe essere vietato. Mi hanno detto che quest’anno il 90% dei cantanti lo usava e ovviamente lo ha usato l’artista (Olly, ndr) che ha vinto. Io e quelli della mia generazione, Fabi, Silvestri, la Consoli, Capossela abbiamo potuto esprimerci facendo una gavetta e con gli strumenti, anche vocali, che avevamo. Sognavamo di fare questo mestiere da quando eravamo bambini ma quello che succede oggi è pazzesco. Alcuni prima fanno gli influencer, magari un giorno provano l’autotune che li diverte e subito dopo diventano dei cantanti. Sento interviste di gente che dice: “L’anno scorso ho scoperto che volevo fare il cantante e adesso sono in classifica”. Servono commenti»?
Tranchant.
«Be’ quando mi dicono che fanno “concerti” e “suonano” quelli che mettono dischi e scratchano, mi vengono i capelli dritti».
Lei parte da un’impostazione musicale e artistica figlia di una disciplina imparata dal suo maestro Lucio Dalla.
«Un uomo unico, un incredibile spacciatore d’ansia che mi ha insegnato praticamente tutto quello che so. Io ho due padri, uno è quello naturale e l’altro è stato Lucio. Quando nel ’91 mi sono presentato sul suo uscio e gli ho fatto ascoltare quello che scrivevo mi ha ascoltato e indirizzato. Quello che è successo dopo è nella mia discografia». —