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 2025  marzo 22 Sabato calendario

La Russia è ormai un’economia di guerra, ecco perché Putin non firmerà mai la pace

Ci sono pochi dubbi sul fatto che nel 2014 Vladimir Putin si è sentito insultato quando l’allora presidente americano Barack Obama descrisse la Russia semplicemente come «una potenza regionale che sta minacciando alcuni Stati contigui, a causa non della sua forza ma della sua debolezza».
Eppure, a undici anni di distanza, e a tre dalla tentata invasione a tutto campo dell’Ucraina da parte di Putin, oggi il commento di Obama è quanto mai vero. Il problema è che sia Putin sia il presidente Donald Trump stanno agendo come se la Russia fosse forte, invece che debole.
Le cifre della guerra dicono altro. Secondo nuove stime rese note dal ministero britannico della Difesa, dal febbraio 2022 l’esercito russo ha perso novecentomila uomini, 200-250 mila dei quali uccisi e il resto rimasti gravemente feriti. La Russia sta destinando alle sue forze armate il 40 per cento del suo budget federale, quantificabile nell’8 per cento dell’intero Pil del Paese.
Nondimeno, tutte queste perdite e tutto quel denaro hanno lasciato alla Russia il controllo di appena il 20 per cento del territorio ucraino, e negli ultimi tre mesi non si sono registrati progressi dentro l’Ucraina.
L’unico successo russo recente è stato quello di respingere i soldati ucraini dalla regione di Kursk nei pressi del confine, invasa dall’Ucraina lo scorso agosto, e in gran parte ciò è accaduto soltanto quando Trump ha privato l’Ucraina del supporto dell’intelligence statunitense. I soldati ucraini non sono stati ancora cacciati del tutto da Kursk.
L’economia russa si è dimostrata in grado di sostenere il prolungato fallimento della guerra di Putin, ma questo non significa che il Paese sia forte. Le vendite di petrolio, gas e altri beni a Cina, India e altri clienti hanno mantenuto l’economia a galla, ma le banche russe sono state costrette a concedere prestiti sovvenzionati per la Difesa, l’edilizia e l’agricoltura.
Questa situazione, però, non fa altro che preparare il terreno per altri guai in futuro. Per tenere sotto controllo l’inflazione, la Banca centrale russa ha alzato i tassi di interesse al 21 per cento, evidenziando che senza i prestiti sovvenzionati l’intera economia arriverebbe a paralizzarsi e molti beneficiari dei prestiti andrebbero in bancarotta.
La verità è che la guerra è stata voluta da un leader autoritario che ha usato le uniche armi a sua disposizione: il potere militare e la retorica nazionalista. Adesso, nel 2025, la verità sta emergendo: malgrado il suo fallimento, Putin potrebbe non voler porre fine ai combattimenti perché, se la spesa per lo sforzo bellico si fermasse, o anche solo rallentasse, l’economia russa sarebbe in guai seri.
Undici anni fa, Obama ha avuto ragione nel suo giudizio, ma torto nella sua reazione: se insieme agli alleati europei avesse risposto con fermezza e forza all’aggressione di Putin, la Russia avrebbe potuto essere respinta. Si preferì optare, invece, per sanzioni insignificanti e clementi, si continuò ad acquistare gas russo e a investire in nuovi oleodotti, e tutto questo ha finito con l’incoraggiare Putin a proseguire la sua strada fatta di intimidazioni culminate poi nella sua catastrofica invasione.
Questo singolare equilibrio tra la forza personale di Putin e la debolezza nazionale della Russia è proprio quello che sia Trump sia i leader europei farebbero bene a tenere a mente. Finora Trump sembra ripetere gli errori di Obama e della cancelliera Angela Merkel nel 2014: nei suoi colloqui del 18 marzo faccia a faccia con Putin e negli incontri tra i suoi uomini che si occupano di politica estera e i funzionari russi in Arabia Saudita e a Mosca, Trump ha cercato di spronare Putin ad accettare un cessate-il-fuoco, invece di costringerlo a farlo.
Ecco a cosa si riducono tutte le chiacchiere di Trump sugli «smisurati affari economici»: sta suggerendo – su probabile incoraggiamento dello stesso Putin – che, qualora si raggiungesse la pace, ne deriverebbero vantaggi economici di ogni tipo sia per l’America sia per la Russia.
Si ripete da capo la storia dei gasdotti Nord Stream sotto il Mar Baltico, insomma: l’illusione che l’orso russo possa essere addomesticato soltanto se gli si offre cibo in abbondanza.
Eppure, né Putin in persona né i funzionari dell’ex-Kgb a lui vicini hanno bisogno di altro cibo: sono già straricchi al di là di ogni più sfrenato desiderio. Finché la presa sul potere di Putin resterà forte, hanno ben poco di cui preoccuparsi per l’economia russa. Nella misura in cui se ne preoccupano, hanno un unico interesse: far andare avanti la guerra, perché è in quella direzione che in buona parte si sono già orientate economia e occupazione.
Putin non si lascerà sedurre a fare la pace. Non ha bisogno di soccombere alla seduzione degli «affari», né ha bisogno di interessarsi ai discorsi che già si sentono ripetere tra le imprese tedesche, italiane e di altri Paesi europei circa la ripresa degli acquisti di gas russo una volta che si sarà raggiunta la pace. Il tentativo di seduzione di Trump e i discorsi degli europei sugli acquisti di gas lo convinceranno soltanto che i suoi avversari occidentali sono deboli e corrotti, come ha sempre detto.
Purtroppo, una pace sostenibile potrà essere raggiunta verosimilmente soltanto con le pressioni, invece che con la seduzione. Aspettiamo di vedere che Trump e i suoi consiglieri lo capiscano e di capire se saranno disposti a esercitare davvero pressioni su Putin riprendendo l’invio di aiuti militari all’Ucraina e dando corso alle «massicce sanzioni» alla Russia che Trump ha minacciato senza però dare segno alcuno di volerle definire con precisione e tantomeno concretizzare.
Nel frattempo, tutto questo conferma il tema di fondo della nostra epoca: l’onere vero ricade sull’Europa. Per esercitare pressioni su un Putin forte e una Russia debole, dobbiamo adattare il vecchio modo di dire e «mettere i nostri soldi e l’esercito dove diciamo», facendo quindi qualcosa di più che limitarci a parlare del problema.
Giustamente, Gran Bretagna, Francia, Polonia e altri Paesi stanno facendo programmi a lungo termine, per proteggere l’Europa senza l’aiuto degli americani nei prossimi decenni. Anche la Commissione europea sta facendo programmi a lungo termine, per consentire ai Paesi membri di prendere in prestito più capitali da investire nella Difesa.
La resistenza alla seduzione di Putin, però, indica che le sfide più grandi sono quelle sul breve periodo: rafforzare oggi la resistenza dell’Ucraina e dimostrare domani la capacità dell’Europa di mettere a disposizione uomini e mezzi per garantire la sicurezza.
Quando il Cancelliere Friedrich Merz sarà in carica a tutti gli effetti, potrebbe dare un primo importante contributo autorizzando il trasferimento all’Ucraina di missili tedeschi Taurus a lunga gittata, rifiutato dal suo predecessore. In seguito, il triumvirato composto da Germania, Francia e Gran Bretagna dovrebbe svelare piani concreti e plausibili per inviare truppe e forze aeree in Ucraina, dimostrando di poter essere sul terreno subito dopo la firma di un cessate-il-fuoco. Soltanto dando una dimostrazione di forza immediata si potrà addomesticare sul serio l’orso russo.