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 2025  marzo 22 Sabato calendario

Alex Ovechkin, la “Macchina Russa” dell’hockey che fa impazzire gli americani a suon di record

«Le macchine russe non si rompono mai». Era il 2006 e Alex Ovechkin non sapeva che pronunciando questa frase avrebbe creato il suo marchio di fabbrica. La macchina negli anni si è inceppata, impossibile sulla lastra di ghiaccio dell’hockey fra botte, spintoni, bastoni che fluttuano, dischi che schizzano, restare immacolati e intatti nel corpo e nello spirito. Quella volta, nel lontano 2006, uscì aiutato dal campo, il giorno dopo skettinava al campo di addestramento.
Stessa cosa lo scorso novembre. Scontro di gioco, stinco contro stinco, tre mesi di stop. Al rientro in febbraio un goal, e poi ancora e giovedì sera un altro, i Capitols di Washington affossa Philadelphia (3-2) e vola ai playoff. Ma questa non è la storia dell’NHL, il campionato professionistico di hockey, seguito pazzesco negli States, partite mozzafiato e palazzetti pieni. È la storia di un uomo nato quando Mosca era ancora la capitale dell’Impero del Male, alla Casa Bianca abitava Ronald Reagan e al Cremlino Gorbaciov.
La morte del fratello
Anno 1985, figlio di una giocatrice di basket e di un calciatore, Alex nasce con i geni del fuoriclasse. L’hockey, l’avrebbe scoperto crescendo. L’hockey lo consacrerà fra pochi giorni (settimane?) il re. Non il più grande, ma quello che ha scaraventato il disco più volte nella rete, più di Wayne Gretzky, il canadese diventato losangelino, appassionato di golf e di Trump, che sta all’hockey un po’ come Maradona – prodezze calcistiche esclusivamente – al calcio. Wayne, detto “The Great One”, 894 goal; Ovechkin, 888. Gioca da venti anni nell’NHL, lo presero quelli di Washington (i Capitals, e quale altro nome) nel 2005 come rookie 20enne. Esordì nel 2006. E poi la macchina raramente si è inceppata collezionando record e premi, nel 2018 anche la Stanley Cup (lo scudetto, ma insomma quasi di più) del Nord America. Quando la vinse andò a posarla sulla tomba del fratello. Sergei morì per un trombo dopo un incidente automobilistico, Alex aveva 10 anni. «Vai a fare la partita», gli dissero i genitori all’indomani della morte di Sergei. Gioca anche per lui. Pianse tanto il piccolo Alex, le lacrime gocciole di ghiaccio, mentre onorava il fratello pattinando e segnando. Oltre 20 anni dopo gli portò la Stanley Cup.
Quanto manca al record
Ora l’aria profuma di un leggendario sorpasso. E si muove lo show business per trasformare quel momento in qualcosa di unico. Quando avverrà. Si fanno proiezioni, perché uno che segna al ritmo di Alex non si incarta improvvisamente. Ma siccome lo sport – grazie a Dio – ha ancora quell’imprevedibilità lasciata ai giochi fanciulleschi, quando mancheranno 4 goal al record, nel palazzetto apparirà pure Gretzky. Sarà lui – a sorpasso avvenuto – a premiare il grande Alex mentre la standing ovation accompagnerà il tutto. Si fermerà la partita e avversari e compagni di squadra, supporter di entrambi i team, tributeranno l’omaggio a questo uomo nato sovietico, capace di vincere Mondiali con la Russia, e diventato poi l’idolo dell’America. Bizzarrie della storia, giochetti di un demiurgo birichino che fa innamorare di un russo d’altri tempi l’America che con la Russia oggi si scontra (e confronta) per sfide ben più decisive di una Stanley Cup.
«Tira forte quando puoi, colpisci qualcuno quando puoi», la massima del padre di Alex (morto nel 2023). Fai quello che devi in campo, senza paura. Gli insegnò che solo fallendo – un goal, un assist – si migliora e si impara. Ed è il sogno americano in fondo, la grande lezione che pure Steve Jobs aveva appreso e decantava in giro del mondo. «Se hai paura di fallire, non andrai lontano», disse l’inventore di Apple.
Gretzky era visionario, un danzatore con il bastone in mano, estroso, creativo. Ovechkin è il martello assatanato che picchia il chiodo sino a conficcarlo, lasciandone la capocchia consumata. Stili diversi, epoche diverse. Ma un legame unico, il goal, il disco che si infila fra le protuberanze dei portieri avversari.
Gli americani, appassionati di statistiche e di numeri, prevedono il sorpasso, insomma il goal 895 il 10 aprile. Sarà così o no, chissà. Ma sarà questione di poco per vedere la “Macchina Russa” sul ghiaccio abbracciata al “The Great One”. Leggende.