Avvenire, 22 marzo 2025
L’India del record di popolazione ora ha paura del calo delle nascite
Il sorpasso della popolazione indiana su quella cinese, avvenuto lo scorso anno, è visto perlopiù come un fattore decisivo delle potenzialità dell’India di alimentare anche di forza lavoro giovane e intraprendente una “macchina” produttiva che aspira nel medio termine a confrontarsi con quella della confinante Repubblica popolare, per molti aspetti rivale anche se principale e necessario partner commerciale. Alcuni segnali inducono però alla però cautela nel delegare ai soli dati numerici possibilità di crescita che risentono di molte incognite. A partire dal fatto che se le proiezioni suggeriscono un incremento della popolazione indiana dagli attuali 1,45 miliardi fino a sfiorare il culmine di 1,7 miliardi nel 2060, ci sono già oggi aree dell’immensa India che segnalano sofferenze sul piano demografico. Le autorità di due grandi Stati meridionali, Andhra Pradesh e Tamil Nadu, sono impegnate a cercare di rilanciare le nascite, secondo loro limitate da ridotta fertilità e dall’età sempre più avanzata della popolazione in età fertile. A questo l’Andhra Pradesh ha aggiunto la cancellazione della “politica dei due figli” che regolava addirittura l’accesso alle consultazioni politiche locali. Anche il vicino Telengana (che dall’Andhra si è separato nel 2014) ha iniziato a lanciare segnali di disagio demografico, con un’enfasi che sembra persino eccessiva. Nei fatti, l’India ha visto il numero dei nati per donna in età fertile crollare da 5,7 nel 1950 a 2,01 nel 2022. Sotto questa soglia si trovavano ora 17 dei suoi 36 Stati e Territori. Cinque Stati del Sud (Tamil Nadu, Karnataka, Kerala, Andhra Pradesh con Telengana), che all’indipendenza nel 1947 raggruppavano un quarto della popolazione indiana, hanno infranto per primi la soglia del tasso di sostituzione fra il 1988 e il 2005. Oggi il dato oscilla fra 1,4 figli per donna del Tamil Nadu e 1,6 del Karnataka. Sono cifre equivalenti a quelle di molti Paesi europei o asiatici, ma la situazione indiana mostra una differenza sostanziale e carica di conseguenze future: nei Paesi di più antico sviluppo e benessere sono stati i profondi mutamenti socio-economici-sanitari a contribuire al rallentamento, mentre in India si deve a estesi programmi di riduzione delle nascite (anche con incentivi o coercizione) e con imponenti piani di welfare a favore delle famiglie con prole ridotta.
Come conseguenza, oggi in Andhra Pradesh, dove il tasso di natalità uguaglia quello della Svezia (1,5) le famiglie hanno mediamente un reddito di 28 volte inferiore a quelle svedesi e il governo locale manca delle risorse per garantire cure e sostentamento adeguati alla popolazione che invecchia.
Sempre restando al paragone con la Svezia, se questa ha impiegato 80 anni per raddoppiare la popolazione anziana dal 7 al 14%, l’India arriverà a questo dato in soli 28 anni e a metà del secolo sarà ultrasessantenne il 20% degli indiani. Questo chiama anche a considerare il dato fornito dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione nel suo ultimo rapporto sull’invecchiamento dell’India che oltre il 40% degli indiani dai sessant’anni in avanti appartengono al 20% più povero della popolazione. Ci sono tuttavia altre questioni che entrano nel complesso dibattito sulla demografia in India. Una sicuramente è il livello di progresso disuguale nelle varie parti del Paese. Un’altra è quella dei flussi migratori, sia costanti, sia dovuti a cause contingenti (come è successo durante la pandemia da Covid- 19 con settori della popolazione bloccati nelle aree dove erano emigrati, impossibilitati al rientro). Infine un ruolo gioca anche la carta politica connessa con le diverse sensibilità ideologiche e religiose. È sintomatico che, in un Paese guidato dai nazionalisti filoinduisti del Bharatiya Janata Party, il leader dell’organizzazione Rashtriya Swayamsevak Sangh, promotrice dell’estremismo induista che assedia le minoranze religiose e propaganda una loro presunta crescita numerica che mirata a soverchiare gli indù, abbia avvisato del rischio che un tasso di crescita inferiore ai 2,1 figli per donna possa condurre al crollo della società indiana. Una lettura confutata da esperti che indicano come a 1,8 il declino resti pienamente gestibile (anche accogliendo l’immigrazione oltre che promuovendo una migliore redistribuzione interna della popolazione in cambio di adeguate possibilità di benessere) e che solo sotto la soglia di 1,6 figli la situazione rischia di avere effetti dirompenti se non attentamente gestita.
D a qui la preoccupazione concentrata in regioni dove il progresso ha più presa, ma dove già si manifesta una distonia fra necessità produttive, risorse e disponibilità di personale, incluso il settore pubblico, dei servizi e del welfare.
Preoccupazione che non sfugge alla comunità cattolica. Lo segnala anche il recente apprezzamento della Conferenza episcopale cattolica dell’India per le parole del primo ministro dell’Andhra Pradesh, N Chandrabbu Naidu che, esprimendo preoccupazione per il calo delle nascite nella sua stessa circoscrizione elettorale, ha segnalato al governo centrale un declino che ha definito «tendenza preoccupante che richiede un dibattito a livello nazionale sulla gestione della popolazione», aggiungendo che «l’India non dovrebbe ripetere gli errori commessi da altri Paesi come Corea del Sud e Giappone». Dichiarazioni di preoccupazione che il portavoce della Conferenza episcopale, padre Robinson Rodrigues, ha definito «giustificate, perché nessuna nazione può sopravvivere senza una popolazione giovane e energica» e che se il Paese manca di infrastrutture essenziali per l’istruzione, l’abitazione e la sanità per tutti «il governo dovrebbe migliorare le strutture di base e incoraggiare i giovani a avere più figli». Posizioni condivise da altri leader ecclesiali, sollecitati anche dal dato fornito dall’Indagine nazionale sulla salute delle famiglie che indica come fra i cattolici dell’India il tasso di fecondità sia sceso nel biennio 2019-2020 a 1,88 dal 2,87 del periodo 1992-1993. Una preoccupazione che richiama quella di altri pastori, che più volte hanno segnalato i rischi del declino demografico. Tra questo il Consiglio dei vescovi cattolici del Kerala che quattro anni fa riportava che «se negli anni Cinquanta del secolo scorso i cristiani costituivano il 24,6% della popolazione dello Stato, si sono oggi ridotti al 17,2%» ma segnalava anche come una contrazione della popolazione «non possa essere la sola risposta alle crisi che emergono da politiche di sviluppo errate». In situazioni simili la risposta di molti Paesi dell’Asia più ricca e in Occidente è stata di favorire una maggiore durata della vita media associata a una migliore qualità e quindi anche una vita lavorativa estesa di diversi anni. Una “ricetta” non applicabile ovunque in India dato il divario di sviluppo, reddito e possibilità e per la concentrazione della popolazione più giovane nelle aree più depresse. La sfida primaria per l’attuale premier Narendra Modi e per i futuri governanti non dovrebbe essere di riportare l’India a un “Medioevo sociale” (con forti connotazioni religiose) mentre punta a diventare una potenza economica, ma di dare a tutti il più alto livello di possibilità. Occorre, indicano gli esperti, puntare a concentrare il massimo delle energie nello sviluppo occupazionale, produttivo e nella redistribuzione del benessere fino verso la metà del secolo, per poi indirizzare maggiori risorse verso la popolazione anziana, perseguendo nel frattempo politiche di sostegno delle nascite per evitare un declino troppo rapido che crei condizioni ingestibili. L’India ha molti esempi cui guardare in Asia e prima di avvicinarsi al tramonto demografico potrà fare tesoro dell’esperienza altrui disponendo di un orizzonte temporale più ampio. Ma proprio per questo la trappola in cui molte delle nazioni prossime alla condizione di pieno sviluppo rischiano di cadere, ovvero il fatto di trovarsi a «essere vecchie prima di essere ricche», chiama da ora New Delhi a scelte pragmatiche e concrete nella gestione delle risorse, delle possibilità e delle aspirazioni.