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 2025  marzo 22 Sabato calendario

"Non scrivo per sembrare intelligente ma per raccontare di me, anche gli amanti"

I lettori italiani conoscono Marguerite Duras dal tempo di Una diga sul Pacifico, primo romanzo straniero accolto da Vittorini in una sua prestigiosa collana. Da Moderato cantabile in poi, nella sua progressiva scarnificazione del racconto, nell’adozione di strategie narrative indirette, allusive, ellittiche, hanno seguito il percorso di una ricerca affascinante e rigorosa, che ogni volta rendeva più esiguo il confine fra la parola e il silenzio. Ora, con L’amante, il racconto recupera tutto il suo prestigio, e, pur tra le censure e lacune che sono proprie della memoria autobiografica, disegna nuovamente una storia dei personaggi, delle passioni.
Signora Duras, questo ritorno al racconto è una pausa di ripensamento oppure è l’inizio di una nuova fase, il segno di quell’improvvisa sfiducia nella scrittura che lei stessa denuncia? ("Scrivere, allora, era ancora un impegno morale. Adesso scrivere sembra spesso non sia più niente").
«Non si tratta di una nuova fase della mia scrittura e tanto meno di una mancanza di fiducia nella scrittura. Al contrario io vedo ne L’amante il segno di una fiducia totale nella mia scrittura. La scrittura qui “prende il largo” come mai è successo negli altri miei libri. Sarà perché questo testo era inizialmente destinato al commento di un album? Può darsi. Non credo di essere mai stata così libera sia con me sia con la sintassi. Ero travolta da me stessa, parlavo di me e traboccavo, trasgredendo a ogni misura. Con L’amante ho conosciuto una felicità di scrivere che avevo dimenticato. Mi sono accorta che avevo sempre scritto su di me e che tutti i libri avevano un unico soggetto: la scrittura stessa».
A che cosa attribuisce lo straordinario successo del suo ultimo libro: allo scrupolo di sincerità autobiografica, che lo guida, al coinvolgimento che suscita il suo tono di confessione dolente e pur ferma, oppure, più semplicemente, alla sua maggiore leggibilità?
«Nello stadio della letteratura questa felicità di scrivere è stata trovata intera. Sono contraria ai termini “confessione dolente”, “maggiore leggibilità”. Direi che la confessione è disordinata, ha una sua cronologia, un suo linguaggio. È questo che ha spinto il pubblico a parlare della verità de L’amante e la critica di miracolo. In Francia si scrive molto per sembrare intelligenti o per mostrarsi dentro il movimento delle idee. Io ne sono lontana. L’amante potrebbe essere scritto in un tempo qualunque».
Quasi tutti i critici hanno sottolineato l’importanza che hanno i nomi propri nei suoi romanzi e, anche ne “L’amante”, i nomi di alcuni personaggi hanno le abituali, suggestive sonorità. Perché mai proprio l’amante non ha un nome?
«Tutti i dati de L’amante sono già stati trattati in altri miei libri. In questi altri libri le persone sono nominate. Perché nominarle qui visto che qui non sono ancora nominate? Ne L’amante è il principio. L’amante è tutti i miei amanti ed è anche il libro, è la mendicante, è la passione dell’amore e la passione del desiderio. Usare come termine di paragone il romanzo tradizionale o semiologico è fare una critica stupida de L’amante. Il particolare porta al generale e per leggere L’amante bisogna partire dalla propria storia, quella stessa che abita le persone senza supporto di nomi propri».
A proposito di un suo libro, una volta Philippe Sollers ha parlato di psicoanalisi selvaggia. Con altra autorevolezza, Lacan le ha invece riconosciuto una competenza intuitiva, una stupefacente consonanza con la teoria che egli professava. Qual è stato il suo rapporto con la psicoanalisi?
«Philippe Sollers può dire ciò che vuole, non leggo mai i suoi libri. Quanto a Lacan, mi ricordo, sì. Teneva molto al fatto che io non comprendessi quello che scrivevo. Di me ha detto una volta: “ha del genio, ma deve ignorarlo”. Avevo preso male la cosa, come un confino, una condanna alla solitudine».
Nathalie Sarraute, Marguerite Duras, adesso anche Robbe-Grillet: tutte le strade del romanzo portano dunque all’autobiografia?
«Dovrebbe chiederlo alla Sarraute e a Robbe-Grillet. Io non ho fatto dell’autobiografia, a quanto mi consta. Forse ho fatto un romanzo».
In tutta la sua opera il rapporto con il cinema è stato determinante. Vale anche per questo libro?
«Se c’è un rapporto con il cinema ne “L’amante”, è con il cinema muto. Ma la foto sul traghetto non è un fotogramma. È una fotografia».