la Repubblica, 21 marzo 2025
Intervista a Giorgio Panariello
Un ruolo a cui tiene.
«Sì, una delle rare occasioni di esprimermi al di là dei ruoli comici. Charlie è una figura magica, in questo circo che rappresenta il bene e che è metafora della realtà attuale: pensi a che significherebbe se, nei luoghi di guerra come Gaza, arrivasse un circo magico che proteggesse i bambini. Charlie ha subito gli stessi soprusi vissuti dai bimbi dell’orfanotrofio. Poi ha ricevuto un dono da un clown bianco che, prima di lui, aveva gestito quel circo. È un “Avenger” d’altri tempi – il trucco è la maschera che non si toglie mai – pronto ad aiutare chi ha bisogno».
Il suo rapporto con il circo?
«Quando vivevo in Versilia lo montavano spesso vicino al mare. I clown non mi hanno mai fatto tristezza, mi affascinavano leoni e cammelli, ma crescendo sentivo disagio davanti all’elefante che alzava la zampa a comando o una scimmia costretta a esibirsi. Il circo per me era spettacolo puro».
I film preferiti?
«Il venditore di palloncini,strappalacrime anni ’70 con Renato Cestiè, il classico Il più grande spettacolo del mondo. Da poco ho visto The flying circus».
Lei è cresciuto con i suoi nonni, suo fratello in collegio. Cos’ha provato verso gli orfani del film?
«I loro sguardi mi hanno riportato ai ragazzi che vedevo andando a trovare mio fratello in collegio. All’inizio non sapevo che fosse mio fratello, era solo un ragazzo che visitavamo ogni tanto. Poi ho capito la verità. Mio fratello ed io abbiamo vissuto un periodo insieme, aiutandoci. Poi le strade si sono divise».
Lei che bambino era?
«Facevo casino a scuola, non per disturbare, ma per attirare attenzione. Avevo già dentro di me il bisogno di essere guardato».
Gli idoli?
«Da piccolo, i calciatori del Milan. Poi, iniziando la radio, Cecchetto, Gerry Scotti, Linus. Più avanti, Gigi Sabani come imitatore, Carlo Verdone, Roberto Benigni. E la folgorazione per Renato Zero».
Ha lavorato come operaio.
«Grande palestra. Levatacce per andare in cantiere, elettricista. La sera facevo l’aiuto dj, andavo a dormire alle quattro di notte, mi rialzavo alle sette: uno zombie. In cantiere imitavo il caposquadra». Prima gioia sul palco?
«L’applauso in piazza con RadioVersilia. Salii sul palco per la prima volta, l’imitazione di Beppe Grillo e Renato Zero. Non avevo ancora un repertorio incredibile».
Delusioni?
«I primi spettacoli fuori dalla Toscana, spinto dal mio agente, iniziai con feste patronali e piazze al Sud. Anni ‘80, il presentatore: “Ecco un bravo imitatore dalla Toscana... Certo, non sarà Gigi Sabani”. Salgo sul palco: “Ringrazio il presentatore… Certo, non sarà Pippo Baudo”. Strappo due risate, attiro l’odio degli organizzatori».
Prima disavventura?
«In Calabria negli anni in cui la ‘ndrangheta bloccava i lavori pubblici per il pizzo. Sbaglio strada, mi ritrovo da solo ad attraversare l’Aspromonte con sei milioni di lire, l’incasso della serata precedente, nella mia Uno Diesel. Arrivo e vedo che sotto il palco, come servizio d’ordine, ci sono i parà dell’esercito…».
Sanremo: l’amicizia con Conti e Pieraccioni ha retto lo stress test?
«Ovvio. Ci sentiamo un giorno sì e uno no, andiamo in vacanza insieme. Tutta l’estate sono stato a casa sua a Castiglione. Se Carlo ci avesse detto: “Ragazzi,preparatevi, lo vogliamo fare Sanremo?”, avremmo risposto. Ma quella domanda non è arrivata e sapevamo che non era nei piani.
L’amicizia è cosa diversa da lavoro. Quando è morto mio fratello, al suo funerale, oltre ai miei familiari, c’erano Leonardo, Carlo e Renato Zero. In quei momenti capisci davvero cos’è l’amicizia. Di zingarate ne abbiamo fatte, ma alla fine conta sapere che ci siamo sempre l’uno per l’altro. Carlo dice: “Siamo fratellini” e per me loro due lo sono davvero».
Il primo film trent’anni fa. Ne sono passati dieci da “Uno per tutti” di Calopresti, lei fu lodato.
«Non faccio parte del “giro del cinema”. Ma qualcuno mi chiama: Calopresti, Cinzia TH. Torrini, Pieraccioni: il ruolo migliore è lo stralunato fratello di Leonardo inTi amo in tutte le lingue del mondo».
Per cosa la fermano per strada?
«Mi riempie di gioia la gente che mi riconosce, dice: “Quello è l’attore”. Nessuno dice “il comico”. Poi citano personaggi e battute.
Ricordo sul set con Torrini, dopo una scena intensa la troupe applaude, mi sento già Hopkins, poi una voce dal pubblico: “Panariello, si vede il marsupio”».
A cosa lavora?
«Lo show teatrale “E se domani...” Immagino di aver visitato il futuro ed essere tornato per raccontarlo con personaggi che fanno i conti con le novità. Il macellaio del futuro che vende insetti, il contadino e il cane-robot che annaffia le piante con pipì artificiale, lo chef che prepara solo tofu».
Una battuta?
«Il macellaio del futuro pesa una zanzara sulla bilancia e dice “Signora, un po’ di più: che faccio, lascio?”».