La Stampa, 21 marzo 2025
Storia di Aphra Behn, la prima scrittrice a farsi pagare
«Il denaro conferisce dignità a ciò che è frivolo finché non viene pagato»: così scrive Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé per raccontare l’enorme cambiamento che, alla fine del Settecento, fa sì che le donne «con la mania di scribacchiare» comincino finalmente a guadagnare con la propria penna. Saranno state anche frivole – scrive Woolf – avranno pure pubblicato cattivi romanzi, ma i soldi nei loro borsellini cominciavano a entrare, e grazie alla scrittura.
Ecco dunque l’avvenimento che meriterebbe più pagine «delle Crociate, o della Guerra delle due Rose» nei libri di storia, ecco la vera rivoluzione: «la donna della classe media cominciò a scrivere».
Pioniera di questa rivoluzione è senza dubbio Aphra Behn, a cui la stessa Woolf tributa eterni onori e riconoscenza: «È lei, quella donna ombrosa e amorosa, che oggi mi permette di dirvi: potete guadagnare cinquecento sterline l’anno con la vostra sola intelligenza».
Ma chi era Aphra Behn, e perché ha cambiato il destino delle donne?
Drammaturga, scrittrice e poeta inglese dalla vita tanto misteriosa quanto rocambolesca, Aphra Behn nasce a Canterbury nell’estate del 1640. Bambina cagionevole e precoce, in giovinezza si trasferisce con la famiglia in Suriname, in America del Sud, esperienza fondamentale, che tornerà più avanti nella sua scrittura. Rientrata in patria, sposa il mercante olandese che le dà il cognome, Johan Behn, ma nel giro di poco rimane vedova ed è costretta a badare a sé stessa.
È così che la bella e intraprendente Aphra – nome in codice “Astrea” – trova lavoro come spia di re Carlo II d’Inghilterra ad Anversa. Ma neppure la professione di agente segreta sembra fare al caso suo: la vita nelle Fiandre è dispendiosa, gli intrighi politici portano più rogne che guadagni e nel giro di poco Astrea si ritrova senza un penny.
Tornata in Inghilterra in stato di povertà, nel 1668 finisce in carcere per debiti. Niente marito, niente soldi, appena uscita di prigione: esistono circostanze più adatte per scegliere di diventare una scrittrice?
È così che nel 1670 Aphra Behn scrive la sua prima opera teatrale, Il matrimonio forzato, ovvero Lo sposo geloso, scandalosa commedia d’amore, sesso ed equivoci, che nel dicembre di quello stesso anno viene portata in scena da una delle più importanti compagnie dell’epoca, la Duke’s Company. Comincia qui la luminosa e indecorosa carriera dell’«incomparabile Astrea» – il nome da spia sarà giustamente mantenuto anche da letterata – che scrive quel che le pare, e ama chi le pare (uomini e donne, giovani e vecchi), che è amica di libertini, ispiratrice di poeti, idolo degli studenti, nemica del matrimonio – «Il matrimonio è una sventura inconfutabile per l’amore», sosteneva convinta.
Ma ecco che, come da copione, più la fama cresce, più i detrattori aumentano: copia le trame di altre commedie! Si fa aiutare a scrivere dai suoi amanti uomini! È una donna immorale, anzi – diciamola tutta – è una puttana. Siamo negli anni Settanta del Seicento, eppure le accuse rivolte a una donna di successo sembrano sempre le stesse: le sue opere non sono originali; dietro di lei c’è sicuramente un uomo; quanto alla terza, quella vale sempre, in ogni circostanza.
Lungi dal lasciarsi scoraggiare dal coro stonato dei maldicenti, Aphra Behn risponde a tono a tutti i calunniatori, i nemici, gli invidiosi, e lo fa con parole dirette: «Se le commedie che ho scritto fossero apparse sotto il nome di un uomo qualunque – dice – e non si fosse mai saputo che erano mie, mi appello a tutti giudici imparziali e di buon senso, se non avrebbero detto che quella persona aveva scritto commedie buone quanto quelle di qualsiasi maschio della nostra epoca».
Risponde così Astrea, indomita, appassionata, sicura dei propri diritti, e delle altrui ingiustizie. Ma risponde soprattutto continuando a scrivere poesie, prose e nuove commedie: i romanzi di successo Lettere tra un gentiluomo e sua sorella, Oroonoko. Lo schiavo reale (ispirato agli anni trascorsi in Suriname), La monaca. La bella che trasgredì il voto si susseguono nel giro di pochissimi anni. Così come le commedie L’avventuriero, L’ereditiera di città, La vedova Ranter, che continuano a calcare le tavole dei teatri di Londra, divertendo e scandalizzando il pubblico.
La morte arriva troppo presto, all’età di quarantotto anni, il colmo degli onori troppo tardi: l’anticonvenzionale Aphra Behn, osteggiata in vita, riceve in morte il trattamento più convenzionale e onorevole possibile, ossia la sepoltura nell’abbazia di Westminster, come una santa, una regina, un’eroina di guerra.
Eppure, il nome di questa donna straordinaria, come sovente accade alle donne straordinarie, scompare rapidamente dai libri di storia e, salvo rare eccezioni, dovrà attendere il Novecento per essere di nuovo oggetto di studio e ammirazione. Chi ne recupererà la vicenda biografica e artistica saranno altre due donne straordinarie: Vita Sackville-West, che a Behn dedica un libro nel 1927, e Virginia Woolf, che nel 1929 scrive di lei in Una stanza tutta per sé.
Sarà merito, poi, della critica letteraria femminista degli anni Settanta se di Aphra Behn si cominceranno a leggere attentamente le opere, e ad apprezzarne l’innovatività e il coraggio dei temi e delle scelte stilistiche.
Oggi Aphra Behn, «l’incomparabile Astrea», intrepida, pericolosa, ardente, torna a riempire i teatri e le aule universitarie con spettacoli, reading e un convegno internazionale organizzato dal Teatro Due e dall’Università di Parma con patrocini e ospiti di prim’ordine, tra cui le rinomate studiose Janet Todd, Ros Ballaster e Liliana Rampello.
Non resta che andare a celebrarla perché, come diceva Virginia Woolf, «tutte le donne dovrebbero cospargere di fiori la tomba di Aphra Behn», ma anche perché, come scriveva Vita Sackville-West in una lettera alla stessa Virginia: «Aphra Behn mi ha trasformato in una scapigliata libertina fatta e finita».