Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 21 Venerdì calendario

Imprese sanitarie in pressing sul governo «Stop al rimborso sui dispositivi medici»

C’è attesa tra i produttori di dispositivi medici per l’apertura del tavolo tecnico convocato oggi al ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) per discutere di possibili soluzioni che portino a superare il meccanismo del payback: accanto al Mef si siederanno il ministero della Salute, le Regioni, Confindustria Dispositivi medici, Confimi (Confederazione dell’industria manifatturiera italiana e dell’impresa italiana) e Fifo sanità (Federazione italiana fornitori ospedalieri). La misura, introdotta dal governo Renzi nel 2015, ma resa esecutiva dal governo Draghi nel 2022, prevede il rimborso (payback) da parte delle aziende produttrici della metà dello sforamento dei tetti di spesa, stabiliti nel 4,4% del Fondo sanitario nazionale (Fsn). Si tratta di una “estensione” di un meccanismo inaugurato nel 2007 per i farmaci, e verso il quale anche Farmindustria da tempo chiede un ripensamento globale.
Contro il payback si sono mobilitati i produttori dei dispositivi medici (siringhe, garze, strumenti per la diagnostica, attrezzature chirurgiche, eccetera: l’elenco è lungo e vario), promuovendo una serie di ricorsi al Tar. Il tribunale amministrativo ha sollevato la questione di incostituzionalità del payback, che è stata però rigettata dalla Consulta nel luglio 2024. La Corte costituzionale, pur riconoscendo che il payback presenta «diverse criticità», ha stabilito che non risulta né sproporzionato né irragionevole in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà, ponendo a carico delle imprese «un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale». Diverso il parere del presidente di Confindustria Dispositivi medici, Nicola Barni, che lamentò il rischio di una «crisi irreversibile» dell’intero comparto e della filiera italiana del settore.
In particolare, i produttori lamentano una cattiva gestione da parte delle Regioni, che sono responsabili delle gare per l’acquisto dei dispositivi medici, e beneficiano poi della restituzione di metà dello sforamento dei tetti di spesa eventualmente avvenuto. La sentenza della Consulta, pur riducendo del 48% il contributo, ha finito con lasciare a carico delle imprese un miliardo di euro per il periodo 2015-2018. Oggi il presidente Barni sottolinea che il payback «porterà a una riduzione dei posti di lavoro, degli investimenti e del Pil. Una impresa su cinque è a rischio fallimento immediato e per ogni miliardo di euro perso a causa del payback dovremmo rinunciare a 860 milioni di euro di Pil e al lavoro a tempo pieno di circa 9mila persone».
Restano pendenti i ricorsi al Tar, che si pronuncerà tra qualche settimana, da parte di oltre 1.800 imprese per sottolineare che la norma, a loro giudizio, viola la normativa europea sugli appalti pubblici ed è illegittima perché ha fissato a posteriori (nel 2019) i tetti di spesa per i quattro anni precedenti. Ora la convocazione del tavolo tecnico presieduto dal ministro Giancarlo Giorgetti apre nuovi spiragli: «Rappresenta un passo importante – osserva Barni – da parte del Governo, che dimostra la volontà politica di risolvere un vulnus normativo che rischia di danneggiare imprese, Servizio sanitario nazionale e cittadini».
Dal canto suo, Farmindustria ha recentemente ripetuto la richiesta di superare il payback per i farmaci. Conti alla mano, l’associazione imprenditoriale segnala che il costo complessivo dei rimborsi che le aziende del farmaco hanno versato è passato dal miliardo e 195 milioni nel 2021 ai 2 miliardi e 494 milioni (stimati) nel 2025: «Sono cifre assolutamente non più sostenibili per le imprese – ha dichiarato il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, al Sole-24 Ore – che cinque anni fa impattavano sull’11% del fatturato e il prossimo anno arriveranno a incidere sul 19%».
Il payback farmaceutico fu stabilito con la finanziaria del 2007 (governo Prodi) quando le imprese preferirono questo meccanismo all’applicazione di un secondo taglio del 5% sul prezzo dei farmaci (distribuiti sia in ospedale, sia in farmacia), che avrebbe creato squilibri sui prezzi di riferimento del mercato farmaceutico internazionale. Nel 2010 (governo Berlusconi) fu imposto alla spesa in farmacia un altro payback dell’1,83% del prezzo al pubblico. Ma, lamenta Farmindustria, i payback più pesanti sono quelli relativi ai tetti di spesa: tecnicamente si tratta di un “ripiano” dello sforamento del limite del finanziamento assegnato alla farmaceutica nel Fsn (nel 2025 pari a 134 miliardi): il 6,8% per i prodotti venduti in farmacia, l’8,5% per quelli distribuiti in ospedale, per un totale del 15,3% (a parte esiste un fondo per i farmaci innovativi, di 1,3 miliardi). Se viene superato il tetto per la spesa in farmacia (introdotto nel 2007), c’è un payback a carico di tutta la filiera pari al 100% della differenza; se viene superato quello in ospedale (stabilito nel 2013, governo Monti), le industrie ripianano il 50%. Farmindustria fa notare che il tetto della spesa per i farmaci negli ospedali è nato “viziato” dal fatto di essere inferiore alla spesa reale: una condizione che si è aggravata tra il 2013 e il 2019 con la forte crescita della spesa per farmaci non accompagnata da un pari aumento del Fsn, che «solo negli ultimi anni – segnalano gli industriali – ha ripreso a salire». E se il ripiano sulla spesa in farmacia si è attivato solo in un anno, quello per i farmaci ospedalieri è una spina nel fianco.
Di qui la proposta del presidente Cattani al Governo (con cui l’interlocuzione è avviata) di discutere un “patto” che guardi al 2027, a fine legislatura. Il traguardo auspicato da Farmindustria è arrivare ad abolire i payback: «Va studiato un meccanismo – ha dichiarato Cattani – che guardi al valore generato dai farmaci», sia dal punto di vista medico, sia da quello di riduzione di costi diretti e indiretti e degli oneri sociali.