Avvenire, 21 marzo 2025
«Le barriere fanno male alla salute mentale»
«Un fronte più ampio e potente» di scontro, non a Gaza, ma in Cisgiordania. «Siamo consapevoli della possibilità che possa aprirsi qui in Giudea e Samaria», ha dichiarato mercoledì il primo ministro Benyamin Netanyahu, in visita a un’unità della polizia di frontiera. Intanto, le forze armate israeliane hanno annunciato l’intenzione di demolire decine di strutture nel campo profughi di Jenin e in quello di al-Ain, vicino a Nablus, in un ulteriore nuovo capitolo di violenta pressione militare sulla Cisgiordania, intensificata negli ultimi mesi e resa organica con l’operazione “Muro di ferro” dal 21 gennaio. Già pochi giorni dopo, l’Alto commissariato Onu per i diritti umani (Ohchr), aveva espresso gravi preoccupazioni condannando l’uso «non necessario o sproporzionato» di «forza letale illegale» da parte di Tel Aviv a Jenin.
A traumatizzare i palestinesi della Cisgiordania non è, però, solo la lunga catena di violenze ed espropri subiti. Questo mese è stato pubblicato dalla rivista accademica internazionale Health & Place uno studio sugli effetti della vicinanza di infrastrutture di occupazione sulla salute mentale dei giovani e sui conseguenti comportamenti a rischio, tra meccanismi di difesa e percezione di non avere più «nulla da perdere». Si è cercato di capire in che misura l’esposizione a posti di blocco, barriera di separazione e colonie influenzi l’equilibrio psicologico, indipendentemente da episodi di violenza diretta vissuti. L’indagine, realizzata dalla Rand Corporation di Santa Monica in California, dall’Applied Research Institute Jerusalem di Betlemme e da Juzoor di al-Bireh, combina dati geo-codificati di un sondaggio fra giovani under 25 in Cisgiordania con dati spaziali sulle posizioni di posti di blocco, barriera di separazione e insediamenti. «Utilizziamo questi dati per valutare gli effetti su depressione e ansia» e la conseguente propensione a «fumo e consumo di alcol e droghe» spiegano i ricercatori. Lo studio è recente, ma si basa sulla Palestinian Youth Health Risk Survey, sondaggio fra 2.229 giovani tra i 15 e i 24 anni della Cisgiordania (esclusa Gerusalemme Est) intervistati nel 2014. Quei dati vengono oggi messi a confronto con dati spaziali delle strutture di occupazione dell’epoca. Nessuna perplessità – assicurano i ricercatori – sull’ipotetica obsolescenza dei dati. «La rilevanza (dei risultati) è, purtroppo, solo aumentata. Rispetto a dieci anni fa, il numero di posti di blocco in Cisgiordania è più che raddoppiato e sono stati stabiliti quasi un centinaio di nuovi insediamenti».
Si moltiplicano le colonie «con gravi conseguenze sui diritti umani», ha denunciato martedì un report dell’Ohchr, mentre crescono (di quasi il 50 per cento dallo scoppio della guerra) anche gli avamposti illegali di pastorizia israeliani, secondo un rapporto di Peace Now e Kerem Navot. Ora, dalla ricerca dell’Health & Place emerge che per i giovani della Cisgiordania, all’epoca del sondaggio, la distanza media dal checkpoint più vicino era di 4,1 km, mentre si trovavano a 3,9 km dall’insediamento israeliano più prossimo. I risultati evidenziano che il 49 percento degli intervistati ha raggiunto la soglia diagnostica per un disturbo mentale (61,2 percento delle ragazze).
Il 40,2 percento ha inoltre dichiarato di avere adottato almeno un comportamento a rischio, fra tabagismo (il più comune), consumo di alcol e droga. «Si è scoperto che la vicinanza ai posti di blocco presidiati (con presenza fisica israeliana) era significativamente e costantemente correlata a una salute mentale peggiore per maschi e femmine, e che la prossimità agli insediamenti era associata a una salute mentale meno buona tra le ragazze», sottolineano i ricercatori. Non è lo stesso per ostacoli stradali e barriera di separazione. Sebbene queste infrastrutture limitino la libera circolazione, «solo quelle che danno luogo a contatti interpersonali tra israeliani e palestinesi» producono effetti deleteri sull’equilibrio psicologico dei più giovani.