corriere.it, 20 marzo 2025
La nuova Biancaneve e il paradosso dei nani diventati invisibili a Hollywood: stereotipi e una teoria del complotto, cosa succede. «La cultura woke ci danneggia»
Biancaneve senza i nani. Il nuovo remake della Disney, al cinema da giovedì 20 marzo, ha eliminato i sette nani dal titolo: Biancaneve, punto. E li ha sostituiti sullo schermo con delle creature realizzate in computer grafica. Una scelta che ha fatto arrabbiare gli attori e l’intera comunità delle persone nane (circa 2.000 persone in Italia). Marco Sessa, presidente dell’associazione delle persone con acondroplasia, la forma di nanismo più comune, la definisce senza mezzi termini «una fesseria che rischia di farci diventare ancora più personaggi e ancora meno persone».
Ma perché i sette nani della favola dei Grimm, la prima che Disney portò sul grande schermo, sono diventati un tema sensibile? Per capirlo bisogna tornare al ruolo che le persone nane hanno avuto nella storia del cinema e della tv, dal film Freaks del 1932 all’ultimo Biancaneve passando per il Trono di Spade. Tra eccessi di realismo e ruoli caricaturali, esoterismo, stereotipi e un’assurda teoria del complotto.
Il film «Freaks»
Le persone nane scontano una storia pesante. Nel Medioevo erano considerate scherzi della natura, poi diventarono i giullari di corte. Nell’era moderna la corte è stata sostituita dal circo, ma il ruolo dei nani era sempre lo stesso: intrattenere gli spettatori, farli ridere non con battute divertenti ma con il proprio corpo.
Freaks, uscito nel 1932, fotografa esattamente questo. Il film è ambientato in un circo e racconta la storia degli artisti con malformazioni e condizioni rare che si esibivano come «fenomeni da baraccone»: tra loro i nani Hans e Frida, la donna barbuta, le gemelle siamesi Violet e Daisy. Freaks fu criticato per l’eccessivo realismo perché gli attori, a differenza di quanto accadeva negli altri film dell’epoca, erano vere persone con disabilità.
Hollywood e il paradosso dei nani, diventati invisibili: esoterismo, stereotipi e un’assurda teoria del complotto. «Il politicamente corretto ci danneggia»
Il genere fantasy
Per decenni le persone nane sono state rappresentate al cinema solo in due modi: o freak, o creature appartenenti al mondo fantasy. Nella prima versione Disney di Biancaneve, datata 1937, i sette nani sono personaggi comici e caricaturali, per certi versi simili a dei bambini, con un nome che ne rispecchia il carattere (Brontolo è burbero, Pisolo assonnato...).
Due anni dopo il film Il Mago di Oz, dove il popolo dei Munchkin che Dorothy libera dalla Strega Cattiva dell’Est è interpretato da 124 attori nani provenienti da teatri e circhi, diede origine a una teoria cospirativa secondo cui questi attori erano riuniti in una società segreta che influenzava le scelte di Hollywood. Una teoria a maggior ragione assurda, se si considera che il cinema ha sempre confinato le persone nane in ruoli secondari o degradanti.
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Il Nano di Twin Peaks
Tra i film fantasy in cui compaiono personaggi nani si ricordano La Terra dei Giganti (1968), Time Bandits (1981), Willow (1988), Il Signore degli Anelli (2001) e Le Cronache di Narnia (2005). Anche il regista David Lynch ha inserito in diversi suoi lavori persone nane, o molto basse, dotate di poteri soprannaturali. Il più famoso è Il Nano (The Man from Another Place nella versione originale) di Twin Peaks, una creatura che appare nei sogni dell’agente Cooper fornendogli tracce esoteriche per scoprire l’assassino di Laura Palmer.
Solo a partire gli anni Duemila il cinema ha saputo proporre personaggi con nanismo più complessi e meno stereotipati. Buona parte del merito va all’attore americano Peter Dinklage, che oltre a interpretare il ruolo di Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade ha recitato da protagonista in diversi film. In Cyrano, per esempio, è un Cyrano de Bergerac caratterizzato non dal naso enorme ma dalla bassa statura.
Ma si tratta, purtroppo, di casi isolati. «Questi ruoli di elfi, folletti, gnomi e creature fantastiche sarebbero molto più gradevoli se il ruolo successivo fosse quello di un medico o di un avvocato o di un padre o di un marito o di un interesse amoroso», ha spiegato al Guardian Mark Povinelli, attore ed ex presidente dell’associazione Little People of America. «Ma questo non succede. E non sta accadendo nemmeno adesso».
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Il «blackface» di Hugh Grant
A complicare le cose ci ha pensato la tecnologia. Nel film Wonka, uscito nel 2023, il ruolo dell’Umpa Lumpa è affidato a Hugh Grant, alto un metro e 80 ma rimpicciolito in digitale. Nelle versioni precedenti de La Fabbrica di Cioccolato erano invece attori con nanismo a interpretare i piccoli operai di Willy Wonka.
«L’aspetto più preoccupante è che tramite la CGI (computer generated imagery, ndr) hanno applicato a Hugh Grant gli attributi fisici di una persona nana, come le braccia più grandi, le mani più corte, in modo da farlo somigliare a una persona con acondroplasia: proprio come gli Umpa Lumpa del primo film del 1971» ha detto ancora Povinelli. «Stanno cercando di mantenere la fisicità del nanismo ma di cancellarne l’autenticità, il che rappresenta una versione fisica del blackface».
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Biancaneve, dall’inizio
È stato proprio Peter Dinklage, l’attore con acondroplasia più famoso, il primo a prendersela con il remake di Biancaneve. «Ma stai ancora raccontando la storia di Biancaneve e i sette nani?» disse l’attore nel 2022, quando le riprese del film non erano ancora iniziate, rivolgendosi ai produttori. «Non ha senso per me, stai ancora realizzando quella fottuta storia di una tale arretratezza su sette nani che vivono insieme in una grotta».
A Dinklage aveva risposto direttamente la Disney, spiegando di aver adottato un approccio diverso per evitare stereotipi. L’idea iniziale era sostituire i sette nani con creature magiche di etnie e stature diverse. Alla fine il regista Marc Webb ha scelto di usare la CGI: i nani sono stati interpretati da attori di altezza media e poi ricreati in computer grafica.
La polemica degli attori
Gli attori nani, dunque, sono stati esclusi dal film. E non l’hanno presa bene: «Non è giusto, perché non ci sono ruoli per attori della mia statura» ha detto Dylan Postl. «Non posso presentarmi per le parti di Harrison Ford o George Clooney perché non fa per me. Questi ruoli da nani invece sono per persone della mia statura, e ora mi sono stati tolti. Pensate anche agli stuntman o alle controfigure: un sacco di gente ha perso il lavoro».
«Il politicamente corretto danneggia le nostre carriere» ha rincarato la dose Choon Tan. «Ci sono molti attori capaci che avrebbero voluto interpretare questi ruoli e l’utilizzo della CGI ci ha portato via una delle poche opportunità che abbiamo. Non la userebbero per un personaggio alto, quindi perché farlo per i nani? Mi sento discriminato».
Critico anche Martin Klebba, l’unico attore nano nel cast del remake (ha prestato la sua voce a Brontolo e fatto da consulente). «Non è che i nani possono sparire dalla storia di Biancaneve perché qualcuno non li vuole» ha detto. «Non ho mai capito la questione del “non fare i nani": la storia esiste da sempre ed è un classico. E avrei anche preferito mantenere il titolo originale».
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Il rischio bullismo
Per Marco Sessa, presidente di Aisac (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia Onlus) e autore del libro Nanessere, il problema non è tanto Biancaneve quanto il fantasy in generale. «L’acondroplasia è una delle disabilità più raccontate, ma in modo scorretto» spiega. «Il nano è il personaggio di fantasia, il giullare, il clown... E questo causa un grosso problema di credibilità, soprattutto nel mondo del lavoro. A me è capitato più volte di dire delle banalità ed essere guardato come se fossi un genio, perché nessuno ci prende sul serio».
«Negli ultimi anni i casi di bullismo si sono moltiplicati: quando una persona nana s’imbatte in una scolaresca, succede sempre più spesso che qualche ragazzino si metta a scattare foto» prosegue Sessa. «Temo proprio che la scelta di Disney, che in Biancaneve rappresenta i sette nani con figure che non hanno nulla a che fare con la realtà, contribuisca ad allargare ancora di più il solco fra persona e personaggio, a renderci ancora più estranei. Cancellare la diversità non è la soluzione».
«Sei uguale all’attore del Trono di Spade»
«Io credo che il nanismo sarebbe più capito, e accolto, se ci fossero più film con attori nani come protagonisti» dice Gioele Torresan, 27enne con acondroplasia che ha recitato a teatro. «Quando mi dicono che sono uguale all’attore del Trono di Spade sorrido, perché non ci assomigliamo affatto: abbiamo solo la stessa condizione».
«Fino all’adolescenza ho sofferto per il nanismo, poi ho fatto uno switch e oggi lo considero un vantaggio, perché mi permette di interpretare parti che altri non possono fare... Sempre che non decidano di sostituirle con l’intelligenza artificiale com’è accaduto in Biancaneve» dice Gianluca Cofone, nel cast dei film Io sono Babbo Natale e Chi ha incastrato Babbo Natale e prossimamente anche in una serie Netflix. «L’esperienza di Peter Dinklage dimostra che chi è davvero bravo riesce a emergere».