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 2025  marzo 20 Giovedì calendario

Il regista di No Other Land: “Dopo l’Oscar accuse false di complicità. I coloni non si fermano”

A Masafer Yatta si misura quanto vale davvero un premio Oscar. Quanto sposta. Quanto è in grado di trascinare una causa quando le luci di Los Angeles si spengono. Il 28 enne Basel Adra, protagonista e regista del documentario “No Other Land” prodotto da un collettivo israelo-palestinese, è tornato da pochi giorni ad At-Tuwani, uno dei 19 villaggi palestinesi di Masafer Yatta, sud di Hebron, oggetto delle quotidiane scorribande dei coloni israeliani.
Lo incontriamo nella sua casa-rifugio: al piano di sopra la cucina e le camere, dove dorme la figlia di due mesi, al piano di sotto l’ufficio con le foto di vent’anni di resistenza contro il progetto israeliano di costruire qui un’area di addestramento militare. Adra è dispiaciuto per le polemiche che la vittoria dell’Oscar ha scatenato. Quelle israeliane se le aspettava, quelle dei suoi connazionali meno.
Il Bds, il movimento per il boicottaggio di Israele, ha attaccato aspramente il vostro film perché ritiene che violi le cosiddette linee guida anti-normalizzazione. E l’opinione è diventata materia di discussione tra i palestinesi.
«Quella del Bds non è una mossa intelligente, lo dico col massimo rispetto per il loro lavoro. L’ultima cosa che voglio nella vita è normalizzare ciò che sta subendo la nostra comunità per colpa dell’occupazione israeliana, il mio impegno è per cambiare la situazione di Masafer Yatta, non per normalizzarla. È un’accusa falsa».
Qual è il rischio che vede?
«Che polemiche come queste cancellino il risultato che insieme, col collettivo, abbiamo conseguito, cioè aprire gli occhi a tanti».
Le critiche di attivisti e influencer palestinesi sono nate soprattutto dal discorso agli Oscar di Yuval Abraham, il co-regista israeliano, che ha ricordato il 7 ottobre e gli ostaggi a Gaza. Lei sapeva cosa avrebbe detto sul palco?
«Il contenuto dei discorsi l’avevamo condiviso, sì, ma il suo non lo conoscevo integralmente. Con Yuval siamo amici da tanti anni».
Abraham è contestato anche dagli israeliani. Come la vive?
«Subisce molte più critiche di me, per cui è ancora all’estero. Aspetta che si calmino le acque, ora vorrebbe che la sua faccia non fosse così conosciuta».
Altra osservazione che sarà sicuramente arrivata al suo orecchio: le storie dei palestinesi interessano solo se a raccontarle è un israeliano. Cosa ne pensa?
«Che molta gente ha guardato il film proprio perché prodotto da un colletivo israelo-palestinese, è una cosa che ha attirato l’attenzione, soprattutto in Occidente».
Lei ha subito minacce?
«Ricevo dei messaggi sui social, non molti. Uno, in ebraico, diceva: ti aspettiamo quando torni...».
Com’è tornare con l’Oscar?
«Non è cambiato niente. La realtà di Masafer è rimasta uguale a quella che si vede nel film. Anzi, i coloni sono più aggressivi»
Per reazione al premio?
«Non so, forse. Sono diventati più aggressivi con me e con Yuval. La destra israeliana, anzi diciamo pure gli israeliani, ci attaccano, dicono che il film è propaganda, quando invece documenta un’occupazione ingiusta e violenta».
Qual è, oggi, la realtà di Masafer Yatta?
«Da quando sono tornato non è passato giorno senza che tirassero pietre contro i villaggi. Domenica dei coloni armati e in uniforme hanno arrestato mio zio solo perché stava pascolando le pecore. Prima si aggiravano per i campi, ora entrano anche nelle case. Il loro obiettivo è cacciarci dalla nostra terra».
Il successo globale di “No Other Land” sta aiutando la vostra lotta?
«Da una parte sì, perché il mondo adesso conosce quel che la nostra comunità subisce. Tuttavia, nonostante i tanti premi vinti, non siamo riusciti a generare pressione politica su Israele»
Da chi ve la aspettavate?
«Speravamo negli alleati di Israele, come gli Usa, l’Italia, la Germania, la Francia, il Regno Unito».
Difficile sperare negli Stati Uniti, che hanno appena dato il via libera a Netanyahu per bombardare di nuovo Gaza, non crede?.
«Israele e il governo Usa hanno normalizzato atti di genocidio e impediscono ai gazawi l’accesso al cibo. Del resto perché Netanayhu dovrebbe fermarsi? Non paga niente per i crimini che compie».
Vincere l’Oscar con una storia sull’occupazione in Cisgiordania quando alla Casa Bianca c’è Trump. Una coincidenza?
«Abbiamo vinto per il contenuto del documentario, per ciò che mostra. Qualcuno, certo, ci avrà votato anche per reazione a Trump. A Los Angeles non ci aspettavamo neppure la nomination».
Dov’è la statuetta?
«Rachel Szor, del collettivo, la sta portando qui a Masafer Yatta».