ilsole24ore.com, 20 marzo 2025
Così la Fed non accontenta Trump (per ora)
La Fed non muove i tassi, e nello stesso tempo le previsioni, individuali ed anonime, del singoli banchieri centrali volgono al peggio, sia per la crescita economica che per l’inflazione. Tre segnali che per certo non saranno piaciuti a Donald Trump. Ma siamo solo al primo atto del confronto tra la banca centrale e l’esecutivo. Il bello, se così si può dire, deve ancora venire. Nei prossimi mesi la Fed dovrà scegliere tra tre opzioni di politica monetaria: inerzia, rigore, o lassismo. E solo l’ultima opzione potrà piacere al presidente americano.
Il punto di partenza è la decisione di ieri di non modificare i tassi di interesse. Una simile decisione viene definita inerzia monetaria. In generale, una banca centrale può attuare l’inerzia monetaria sulla base di motivazioni diverse, non necessariamente alternative. La prima motivazione è che il livello dei tassi esistente è coerente con la traiettoria ideale e di crescita dell’economia nel lungo periodo. In quel caso, il tasso di interesse è definito neutrale, ed è il risultato della somma algebrica tra il tasso reale di crescita ottimale dell’economia ed una inflazione uguale all’obiettivo inflazione che la banca centrale si è dato. In questo caso, la politica monetaria viene definita passiva. Nel caso della Fed questa motivazione va esclusa: la crescita effettiva non coincide con quella ottimale, come non è uguale all’obiettivo la variazione dei prezzi al consumo.
Una seconda motivazione che può spiegare l’inerzia monetaria è uno scenario macroeconomico di elevata incertezza. Nel caso dell’economia americana, il fattore di maggiore incertezza è oggi rappresentato dal disegno di politica economica del neo presidente, con particolare attenzione al tanto annunziato disegno di protezionismo commerciale. È su questo tassello della politica trumpiana che la Fed potrà scegliere nei prossimi mesi tre diverse strade.
La prima strada è quella di considerare la politica protezionistica come un evento di natura temporanea, nel senso di essere privo di effetti macroeconomici duraturi. Questa possibilità è emersa nei giorni scorsi in alcune uscite pubbliche di banchieri centrali statunitensi. La temporaneità di un evento spinge di solito i banchieri centrali a non considerarlo rilevante ai fini della definizione della loro strategia monetaria. Può però succedere che il giudizio di temporaneità abbia motivazioni psicologiche, che possono essere errate: si giudica temporaneo un evento che è spiacevole affrontare. L’esempio più recente di questo tipo è stato considerato l’errore di previsione che la Fed ha compiuto nel giudicare come temporanea la fiammata inflazionistica che invece tutto è stato, fuorché estemporanea.
La seconda strada è quella di considerare il protezionismo commerciale come un fattore che peggiora le prospettive macroeconomiche degli Stati Uniti. Il ragionamento è semplice: le tariffe appesantiscono la dinamica dei prezzi interni, che si associa ad un apprezzamento del cambio, a sua volta foriero di peggioramento della bilancia dei pagamenti, e via scivolando verso maggiori rischi sia di inflazione che di ristagno economico. In questo caso, una banca centrale dovrebbe assumere un atteggiamento di rigore monetario, spingendo i tassi verso l’alto.
La terza strada è quello del lassismo monetario. Ne è un esempio emblematico un recente lavoro di un economista della Fed – che ovviamente non può essere attribuito alla banca centrale – che ne offre una giustificazione economica, partendo da una presunta miopia dei cittadini. I cittadini incorporerebbero nelle loro scelte una visione solo parziale degli effetti macroeconomici del protezionismo commerciale, non considerando che i maggiori introiti statali derivanti dalle tariffe stesse potrebbero essere correlati – ed il condizionale è solo di chi scrive – ad un miglioramento del benessere complessivo del Paese. Per cui, il protezionismo tariffario dovrebbe essere accompagnato e rafforzato da una politica monetaria espansiva. Ovviamente, solo il lassismo monetario potrebbe piacere al presidente Trump. Finora la Fed ha scelto l’inerzia monetaria, anche perché non decidere consente, in situazione di incertezza, di rendere più facile ottenere una decisione condivisa. Ieri questo è successo a Washington: la specifica decisione sui tassi è stata unanime.
Ma il confronto con i desiderata di Donald Trump è solo rimandato. Per ora, il presidente non è stato accontentato. Per ora.