Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 20 Giovedì calendario

Da Aquafil il primo impianto per recuperare tessuti finora destinati alla discarica

Quasi 20 anni dopo aver lanciato sul mercato la dirompente invenzione dell’Econyl, la fibra da nylon riciclato che ha segnato una svolta per la sostenibilità dell’industria tessile, la trentina Aquafil (542,14 milioni di euro di ricavi nel 2024 e quotata nel segmento Star di Borsa Italiana) è pronta a presentare un’altra tecnologia green dagli impatti potenzialmente rivoluzionari: per la prima volta, infatti, non solo in laboratorio ma anche su scala semi industriale, Aquafil è riuscita a separare efficacemente la fibra elastica dal nylon, ampliando così le possibilità di recupero e riutilizzo di materiali che fino a oggi risultavano estremamente difficili da rigenerare ed erano destinati a discariche e inceneritori, alimentando le tonnellate di rifiuti tessili che ogni affliggono il pianeta e la salute dei suoi abitanti. Ogni anno si producono circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, secondo The Global Fashion Agenda, equivalente alla distruzione di un camion della spazzatura pieno di vestiti ogni secondo.
Dopo un primo progetto in collaborazione con la Georgia Tech University (nello stato Aquafil ha il suo impianto americano, uno dei suoi 21 stabilimenti in tre continenti), che però non ha portato alla fase industriale, Aquafil non ha mollato, e finalmente, nel dicembre del 2022, ha messo a punto un brevetto che sposta la tecnologia dall’ambito laboratoriale a quello industriale. «Eravamo sicuri di riuscirci, abbiamo insistito e ce l’abbia fatta, grazie a un team di giovanissimi», racconta con soddisfazione Giulio Bonazzi, ceo Aquafil.
La prossima sfida è capire come, una volta separato dalla fibra di Nylon, poter riutilizzare anche l’elastomero, per evitare di destinarlo all’inceneritore: «Stiamo lavorando a questo fine con il dipartimento di ingegneria chimica dell’università di Padova, sono fiducioso che riusciremo a recuperare anche quella parte», continua Bonazzi.Il primo demoplant, cioè l’impianto dimostrativo, è ospitato nello stabilimento di Aquafil di Lubjiana, in Slovenia, dove viene già prodotto l’Econyl, la celebre fibra ricavata da nylon rigenerato, soprattutto da scarti di pavimentazione tessile e da reti da pesca in disuso, che è stato un vero caso per l’industria e oggi è adottato da centinaia di marchi. Prada, per citarne solo uno dei più importanti, lo ha usato per la sua collezione Re-Nylon, nell’ambito della sua strategia per la difesa degli oceani.«Tutto il nylon che recupereremo sarà destinato alla produzione di Econyl – prosegue Bonazzi -. Ora dobbiamo lavorare sulla costruzione dei flussi di approvvigionamento della materia prima da separare e riciclare. Prima di tutto, le quantità sono enormi: basti pensare che gli sfridi di produzione di un costume da bagno rappresentano in media il 20% del totale del tessuto usato. I confezionisti tendono a gettarli, dunque la prima sfida è farci arrivare questi scarti separati dagli altri tessuti. Poi i centri di confezione sono tanti, sparsi in tutto il mondo. Se da noi smaltire un rifiuto tessile ha un costo, in altri Paesi si getta semplicemente via, dunque in questi casi dobbiamo lavorare per rendere il conferimento un vantaggio. In futuro sarà certamente utile aprire degli hub negli stessi centri di produzione, così da abbassare i costi, come sviluppare una rete di raccolta nei negozi, considerando anche l’alto consumo di questo tipo di indumenti. Perché non puntiamo a riciclare solo costumi da bagno, ma anche intimo e abbigliamento sportivo, tutti quei prodotti che finora hanno alimentato solo discariche e inceneritori. Parliamo di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ogni anno».
Certo, la transizione non sarà immediata: «Anche per vedere gli effetti delle nuove direttive europee (come quella sulla responsabilità estesa del produttore, che entrerà in vigore entro il primo quadrimestre di quest’anno, ndr) servirà tempo, credo almeno 5-10 anni. Non possiamo pensare che la filiera cambi passo improvvisamente, ma di certo il processo si potrà accelerare magari inserendo nei prodotti dei Qr code o dei microchip che ne semplifichino e dunque favoriscano la circolarità. La cosa che ci sta più a cuore».