Avvenire, 20 marzo 2025
La rabbia dei giordani per i raid E Amman teme l’effetto-piazza
Di nuovo tra due fuochi. La ripresa degli attacchi israeliani su Gaza ha colto all’improvviso anche la vicina Giordania, un Paese da tempo costretto a vivere un difficile equilibrio diplomatico-commerciale nel cuore del Medio Oriente. Il Consiglio dei ministri giordano, riunito ieri nella città di Madaba, ha ribadito la sua ferma condanna nei confronti di Tel Aviv sottolineando che «il deliberato attacco ai civili, in particolare bambini e donne, e l’uso della fame come mezzo di spostamento forzato costituiscono gravi violazioni dei diritti umani che devono cessare immediatamente».
Da tempo il governo di Amman spinge per una de-escalation regionale non lesinando critiche nei confronti della condotta israeliana a Gaza e ricordando in ogni occasione i «tre no» che re Abdullah di Giordania ritiene non negoziabili: no allo spostamento dei gazawi, no al loro reinsediamento e no a qualsiasi patria alternativa.
Per mesi il Paese è stato scosso da proteste di piazza in cui il popolo giordano (in larga parte di origine palestinese) ha chiesto alle autorità misure più drastiche, come la rottura dei rapporti diplomatici con Israele e il ritiro dall’accordo di pace del 1994, già messi a rischio nei mesi scorsi dalle irruzioni dell’esercito israeliano nell’area della moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme. Dopo la tregua di gennaio, le proteste si erano placate nella speranza di un’imminente fine delle ostilità ma martedì sera sono ricominciate come prima, con migliaia di persone a manifestare per le strade della capitale Amman contro i nuovi attacchi a Gaza. Il timore delle autorità giordane è che le proteste – soprattutto quelle organizzate al confine con Israele –, così come la presenza di organizzazioni come la Fratellanza musulmana tra i manifestanti, possano portare ulteriore instabilità nel Paese. Secondo il ministro dell’Infor-mazione e portavoce del governo, Mohammad al-Momani, «l’aggressione israeliana è un attacco all’umanità che deve essere fermato immediatamente con un intervento internazionale». «È fondamentale – ha detto ad Avvenire – garantire sicurezza e stabilità al popolo palestinese attraverso un processo politico che rispetti finalmente i suoi legittimi diritti. In questo senso crediamo che il piano di pace egiziano sia la soluzione migliore per il futuro di Gaza e dei suoi abitanti». Al-Momani ha rivolto poi una critica all’Unione Europea: «Potrebbe fare molto più di quello che ha fatto finora, sia per la sua vicinanza geografica che per i suoi legami storici con questa parte del Medio Oriente. Bruxelles dovrebbe avere un ruolo chiave in questa crisi, non limitarsi alle dichiarazioni di principio. Lo dico per il suo interesse. L’Ue ha relazioni storiche con entrambe le parti in conflitto e sarebbe quindi nella posizione ideale per svolgere un ruolo di mediazione». Quanto alle proteste popolari nel suo Paese, al-Momani non ha dubbi. «Il governo sta facendo il massimo sul piano umanitario. Non ci siamo limitati a mandare aiuti ma abbiamo aperto anche due ospedali da campo nella Striscia».