la Repubblica, 19 marzo 2025
L’ultimo azzardo di Netanyahu: “Ha ripreso la guerra a Gaza per salvarsi la carriera”
Fra gli analisti, i diplomatici, i giornalisti più accreditati, da settimane la questione non è mai stata il “se” ma sempre e soltanto il “quando” Israele avrebbe ripreso la sua offensiva su Gaza. La risposta è arrivata nella notte fra lunedì e martedì sotto forma di una pioggia di bombe caduta sulla Striscia, uccidendo centinaia di persone, per la maggior parte civili.
Benjamin Netanyahu ha imputato ad Hamas e al suo rifiuto di rilasciare gli ostaggi israeliani la responsabilità dell’accaduto, ma se si vuole capire davvero ciò che sta succedendo in queste ore occorre allargare lo sguardo, e includere nella scena almeno altri tre elementi. Il primo è la legge di bilancio che dovrebbe passare al voto della Knesset nei prossimi giorni: Netanyahu è certo che se otterrà l’approvazione del bilancio – che include il mantenimento dei fondi per le comunità ultraortodosse, nonostante il rifiuto di prendere parte allo sforzo bellico – potrà restare in sella fino alla scadenza naturale del suo mandato, nel 2026. Per farlo la ristretta maggioranza parlamentare su cui il suo governo si regge oggi – un seggio – è troppo limitata: occorre il ritorno nella coalizione di Otza Yehudit, la formazione di estrema destra capitanata da Itamar Ben Gvir, che aveva lasciato l’esecutivo a gennaio per protesta contro il cessate il fuoco. E ieri Ben Gvir ha annunciato il ritorno nell’esecutivo proprio poche ore dopo l’inizio dei bombardamenti.
Ma non basta. In contemporanea a quello dell’ex ministro della Sicurezza, è arrivato un altro annuncio importante: i giudici che gestiscono il processo per corruzione in cui il premier è imputato hanno sospeso il procedimento, motivando la scelta proprio con la ripresa della guerra. Un sospiro di sollievo per Netanyahu che, se sarà condannato, dovrà dire addio alla carriera politica.
Infine c’è il terzo elemento: l’inchiesta dello Shin Bet (il servizio segreto interno) sui fatti del 7 ottobre si è conclusa da poco e ha tirato in ballo direttamente il primo ministro. Alla sua scelta di lasciare che milioni di dollari dal Qatar finissero ad Hamas, alla sua politica di contrastare il movimento «solo il maniera difensiva», alla sua volontà di ignorare sistematicamente gli allarmi che si erano susseguiti durante il 2023, il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, attribuisce parte importante delle colpe della strage. Immediatamente dopo aver ricevuto il rapporto, Netanyahu – che è l’unico fra i politici e militari in carica quel giorno a non essersi assunto la responsabilità di ciò che è accaduto – ha annunciato che avrebbe licenziato Bar, scatenando reazioni furiose dell’opposizione, di dozzine di ex militari e funzionari governativi e delle famiglie degli ostaggi. La speranza del premier è che la ripresa della guerra porti tutto questo in secondo piano.
A spiegare chiaramente il quadro ieri era, fra gli altri, l’editorialista di punta di Haaretz, Amos Harel: «Quel che ha mosso veramente Netanyahu è riportare Itamar Ben-Gvir al governo per stabilizzare la coalizione. La sua sopravvivenza politica dipende dal mantenimento della pressione a Gaza e dal tentativo di distogliere l’attenzione dei media dalle rinnovate proteste contro il governo sul piano per licenziare Bar».
Resta da capire se il primo ministro riuscirà a resistere alla pressione: solo il 30% degli israeliani secondo un sondaggio della tv Kan è favorevole alla ripresa dei combattimenti, contro un 43% di contrari e il resto che è indeciso. A partire da oggi sono in programma manifestazioni di protesta che si annunciano massicce, come quelle che due anni fa misero in ginocchio il Paese e bloccarono la riforma giudiziaria voluta dal governo: altri tempi, un altro Israele. Oggi quello che accadrà è ancora tutto da vedere.