repubblica.it, 19 marzo 2025
Nove indagati per l’esplosione al deposito Eni di Calenzano: “Errore grave e inescusabile”
Gravissime omissioni, e valutazioni scriteriate, lungo tutta la catena di comando. A partire da Eni. Le esplosioni nel deposito Eni di Calenzano (Firenze) per il procuratore di Prato Luca Tescaroli sono state “un evento prevedibile e evitabile” sulla base di risultanze investigative. Tescaroli parla di “errore grave e inescusabile” secondo quanto emerge dall’analisi della documentazione di sicurezza rilasciata a Eni a Sergen, e dalle attività di Sergen, “vale a dire la presenza di fonti di innesco, come il motore a scoppio di un elevatore”, che “ha generato calore in un’area ad alto rischio in un momento in cui le operazioni di carico delle autobotti erano parallele alle attività di Segen”.
Ci sono quindi i primi indagati per il disastro al deposito Eni di Calenzano, dove lo scorso 9 dicembre un’esplosione ha provocato la morte di cinque persone e lesioni (in alcuni casi molto serie) ad altre 28. La procura guidata da Luca Tescaroli ha fatto notificare avvisi di garanzia a 9 persone e alla stessa Eni spa. Proprio l’azienda è chiamata pesantemente in causa, per non aver saputo intercettare e correggere gli errori di pianificazione – e di realizzazione- dei lavori di manutenzione tra la linea 6 e 7 dell’impianto, considerati alla base del disastro. Sotto inchiesta ci sono la dirigente incaricata della gestione del centro di Calenzano, Patrizia Boschetti, la responsabile del servizio protezione e prevenzione del deposito, Emanuela Proietti, lo stesso responsabile del deposito, Luigi Cullurà. E ancora: il responsabile del settore manutenzione e un suo collaboratore, Carlo di Perna ed Enrico Cerbino, e il tecnico addetto alla manutenzione e il proposto dell’impianto, Marco Bini ed Elio Ferrara.
Con loro, tutti dipendenti Eni, sono sotto inchiesta anche l’amministratore unico della società che aveva in carico la manutenzione – la Sergen srl – e il preposto della stessa azienda, Francesco Cirone e Luigi Murno. Le accuse sono di omicidio colposo, lesioni colpose e rimozione delle cautele infortunistiche. Al centro dell’inchiesta c’è proprio la catena di errori che ha segnato i lavori tra la baia 6 e la 7, svolti durante le attività di carico di carburante nonostante precise controindicazioni.
A innescare l’esplosione, si legge negli avvisi di garanzia notificati questa mattina, la rimozione di una valvola collegata con un”gomito” a una linea di benzina in pressione (circostanza sconosciuta ai lavoratori), una manovra non indicata nel progetto di lavoro e che avrebbe provocato la fuoriuscita di benzina. Sotto esame, poi, il documento di valutazione dei rischi interferenti, in cui non sarebbero stati citati i pericoli principali e le precauzioni per evitarli. Non solo. Quelle della Sergen erano state descritte come “operazioni a freddo”, nonostante l’azienda avesse in uso “motori endotermici”: proprio un carrello elevatore avrebbe fatto da innesco all’aerosol di benzina.
Negli avvisi, infine, la procura censura alla radice il modello di lavoro imposto da Eni nell’impianto. I dirigenti dell’azienda e i responsabili del deposito sono infatti accusati di “una pluralità di delitti di omicidio colposo e lesioni colpose”, per aver operato “a vantaggio della stessa Eni in assenza di un modello organizzativo, adottato prima dei fatti, che contenesse misure precauzionali volte a impedire la situazione di rischio prevedibile ed evitabile che ha prodotto le 4 esplosioni e l’incendio”. E ancora: “Per interesse e vantaggio (della stessa Eni spa, ndr), veniva permessa la contemporaneità dell’attività lavorativa di manutenzione e di carico di autobotti, agevolando così il mantenimento della produttività funzionale all’attuazione delle strategie imprenditoriali dettate dalla stessa Casa madre, ed escludendo la necessità di dilatare i tempi di attesa degli autisti, mentre avvenivano manutenzioni lungo le pensiline di carico. Simultaneità che avrebbe dovuto essere considerata nel modello organizzativo, prevedendo misure precauzionali e di tutela”.
Un modo di agire, conclude la procura, “indistintamente comune a tutti i depositi (…) sicché l’interesse e il vantaggio veniva ancor più ampliato su scala nazionale”. La procura di Prato ha deciso che si svolga un incidente probatorio alla luce dei risultati delle indagini.
Da parte sua Eni dichiara che “prende atto delle informazioni di garanzia annunciate ed emesse dalla Procura di Prato. Come appreso, gli avvisi hanno riguardato responsabili e operatori di aree tecnico operative della Direzione Refining Revolution and Transformation di Eni legate alle attività del deposito, esponenti della ditta fornitrice Sergen, nonché la stessa Eni SpA per la responsabilità ex Legge 231, e consentiranno il proseguo delle attività investigative anche con il coinvolgimento dei soggetti interessati. Eni conferma, come fatto finora, la propria piena e totale collaborazione all’autorità giudiziaria, con la volontà prioritaria di contribuire a individuare le cause e le dinamiche ad esse associate all’origine dell’incidente. Eni conferma altresì il proprio impegno al risarcimento dei parenti delle vittime dell’incidente e, con la maggiore tempestività possibile consentita dai tempi delle attività di perizia, dei danni civili sul territorio, in avanzato stato di definizione complessivo.”