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 2025  marzo 19 Mercoledì calendario

“Pino non amava chi grida Che risate insieme”

Il primo che mi ha parlato di Pino Daniele è stato papà». Tullio De Piscopo, 79 anni, alle prese con i postumi di un’influenza, si sta preparando perPuorteme a casa mia, il concerto di stasera, piazza del Gesù a Napoli, decine di artisti per ricordare il musicista a dieci anni dalla morte e nel giorno in cui avrebbe compiuto settant’anni.
Cosa le disse suo padre?
«Era il 1977, una domenica: il giorno delle telefonate, vivevo a Milano e le interurbane costavano di meno.
Aveva visto questo ragazzo a Senza retesulla Rai. “Ti somiglia, ma è più diretto”, ci tenne a specificare».
Più diretto?
«Aveva avuto il coraggio di dire che Napoli era anche una “carta sporca”, di scrivere Maronna mia,una canzone su uno scippo».
Lei come reagì?
«Mi fidavo ciecamente del giudizio di mio padre. Appuntai mentalmente il nome di questo Pino Daniele».
E poi?
«Un giorno Pino mi chiama. “Sono un cantautore napoletano, chitarrista”. Ovviamente faccio finta di non averlo mai sentito nominare. Si complimenta per le mie canzoni e mi chiede l’indirizzo a cui farmi avere il suo disco».
“Terra mia”, mica poco.
«Capolavoro. Gli propongo di incontrarci. Dovevo passare a Napoli per salutare i miei genitori. Ci vedemmo fuori da una pizzeria di Port’Alba, al centro storico».
Ascoltaste subito il disco o mangiaste una pizza?
«Ma quale pizza… Mi portò direttamente in sala prove.
Entrammo alle due del pomeriggio, uscimmo alle due di notte. Non riuscii a resistere: suonai anch’io».
Avete registrato tanti album insieme. Condiviso tanti tour.
«Io e Pino ci somigliavamo, pure troppo. Il rispetto per la musica, per i musicisti e per il pubblico è sempre stata la prima cosa».
Vi siete divertiti?
«Piango ancora dalle risate quando ripenso agli spostamenti in pullman durante i tour».
Cosa succedeva?
«Si viaggiava di notte, ci si annoiava. E immancabile partiva il momento della sceneggiata. Ci truccavamo da donne e recitavamo a braccio. Pino faceva sempre lo stesso personaggio: donna Concetta. Risate fino alle lacrime».

Concerti, mostre, documentari.
Gli sarebbero piaciute tutte queste celebrazioni?
«Dipende. Pino non amava le persone e le situazioni sopra le righe. Odiava chi gridava. L’unico grido consentito era quello prima dei concerti».
Che grido?
«Tullio!Addove!».

Pura “parlesia”, il gergo dei musicisti napoletani.
«Significa: “Che dobbiamo fare qua? Si suona o no?”».
Lei è stato un’apripista della generazione di Pino Daniele. E adesso ne custodisce l’eredità artistica. Ha fiducia nel futuro?
«Non mi ci ritrovo nella musica di oggi. Tutto veloce, si va subito al ritornello. E poi quelle batterie campionate… In pochi studiano».
Lei ha studiato tanto?
«Senza fare il buffone: la musica è la mia lingua. Ho passato l’infanzia sul pentagramma, ore e ore a fare solfeggio ritmico».
Se la ricorda la prima volta che ha suonato una batteria?
«C’è sempre stata la batteria. Ricordo i primi concerti, ai matrimoni. Ero piccolo».
Quando ha deciso che la musica sarebbe stata la sua professione?
«È diverso: ho deciso che avrei sacrificato tutto per la musica quando morì mio fratello Romeo.
Aveva ventuno anni. Quel dolore brucia ancora».
Più alti o bassi nella sua carriera?
«I momenti bassi sono stati tosti. Ma non ho mai ringhiato contro gli altri. Ho aspettato che tornasse la musica. Mi ritiravo, stavo da solo.
Me ne andavo a dormire».
Tra i momenti alti mette “Andamento lento”?
«Quella canzone è il verde della
speranza... anche della speranza di fare una cosa di soldi, eh!».
Ne ha fatti.
«Ho sistemato un po’ di cose
. Ma lì c’è anche un po’ di risentimento».
Cioè?
«Non mi volevano far scrivere il testo. Mancavano 36 ore alla consegna della canzone e non c’era una parola. Il titolo lo rubai a un tassista romano. C’era traffico: “A Roma è tutto n’andamento lento”.
Pensai: eccoci qua».
Il resto delle parole?
«Ci accordammo: per 400mila lire mi avrebbe portato a Napoli, via litoranea. Arrivarono le “onde libere”, le “risonanze nere”. Ci fermammo a Santa Lucia, gli offrii una pizza».
Come la ricorda quella giornata?
«Come alcune altre in cui qualcosa di esterno mi ha guidato. Spirito, magia, non lo so… lo chiamo amore. Amore per la musica e per gli altri».
Le va di fantasticare?
«E certamente».
Pino Daniele che stasera percorre i pochi metri che separano la casa in cui è nato da piazza del Gesù. Resta tra il pubblico o sale sul palco?
«Aspetterebbe quel secondo prima dell’inizio, le luci spente, il brusio del pubblico. Per poi gridare: “Tullio!Addove!».