La Stampa, 19 marzo 2025
Rufus Wainwright: “Scrivo canzoni, protesto contro Tesla e resto ottimista”
La sua vita, dice, è stata rivoluzionata quando aveva 13 anni e qualcuno gli fece ascoltare il Requiem di Verdi, «un’edizione pazzesca, con Jussi Björling e Leontyne Price. È stata una specie di conversione religiosa». Rufus Wainwright, il sensazionale cantante e compositore dalla tenorile voce d’angelo, idolo camp ma non solo, l’uomo che si è reincarnato artisticamente in Judy Garland e del quale Elton John si è detto «invidioso», deve aver deciso proprio allora che, prima o poi, un’opera l’ avrebbe composta. In effetti, al momento ne ha scritte due: “Prima Donna” e “Hadrian”, che arriva quest’estate al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
La definisce Grand Opera, nientemeno, e l’ha scritta in quattro atti. Ce la racconta?
«Arriva da lontano, sarebbe stata la mia prima scelta per un soggetto d’opera perché da ragazzo le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar mi avevano affascinato. Ma ero consapevole dei miei limiti, avevo abbandonato la scuola di musica, ero passato al pop: e non ero pronto ad affrontare la complessità di una storia ambientata a Roma durante l’Impero. “Prima Donna”, con quattro personaggi soltanto e un impianto più semplice, mi è servita da esercizio. Chi mi ha incoraggiato ad andare avanti è stato Alexander Neef, oggi direttore generale dell’Opéra di Parigi: con lui ho capito che potevo farcela, e abbiamo debuttato a Toronto nel 2018. “Hadrian” contiene molte cose: riferimenti storici, religiosi, l’impero romano, la guerra, il fanatismo. Medioriente e Palestina, il che la rende davvero di attualità. Soprattutto, è la storia di due uomini, Adriano e Antinoo, che potrebbero essere divisi dalla loro diversissima posizione sociale ma che si amano contro ogni pregiudizio. Sì, l’amore è sempre l’elemento che racchiude tutti gli altri».
Lo spettacolo che vedremo a Spoleto è molto diverso da quello di Toronto?
«Totalmente. È in forma semiscenica ed è diretto da mio marito, Jörn Weisbrodt, che ha studiato regìa d’opera e ha lavorato con Robert Wilson. Un elemento centrale è dato dalle fotografie di Robert Mapplethorpe».
Come interagiscono con quello che succede in scena?
«L’idea è quella di una prova in corso. I cantanti arrivano sul palco in abiti di tutti i giorni con gli spartiti in mano e cominciano a disporsi a semicerchio. Le fotografie che li circondano sono una specie di moodboard, di bacheca immaginativa. Poi, lo spettacolo prende forma. Ma più lavoro in teatro meglio mi rendo conto che il momento davvero affascinante è quello delle prove, dell’opera ancora in progress, non finita».
Che ricordi ha di Spoleto, dove venne 15 anni fa con uno spettacolo creato con Bob Wilson e basato sui sonetti di Shakespeare?
«Molto romantici, perché io e Jörn stavamo insieme da pochissimo. Abbiamo saccheggiato gli antiquari e speso una fortuna. Non vedo l’ora di tornarci. “Hadrian” andrà in scena il 27 e il 29 giugno e il 28 terrò un concerto il piazza Duomo con molti miei pezzi e qualche classico di Judy Garland. E di Mina».
Fin da ragazzino lei metteva in scena per gioco delle piccole Tosche. E ha vissuto a lungo con un cane molto amato di nome Puccini. Quali sono i suoi autori preferiti?
«Apprezzo di tutto, Verdi e Puccini naturalmente, e anche il Verismo, il Belcanto, Monteverdi, Ferruccio Busoni. Ma il mio preferito, però non ditelo a Verdi, è Janáček, perché la sua musica sembra sempre appena scritta. Mio marito, che è tedesco, è più wagneriano».
E invece a lei Wagner non piace?
«Preferisco Richard Strauss».
Lei è cresciuto in Canada con una madre folksinger, Kate McGarrigle, che era un orgoglio nazionale. E ha legami di parentela con un altro canadese illustre, Leonard Cohen, padre di Lorca Cohen che è la madre di sua figlia Viva Katherine. Come vive questo periodo di terribile contrasto fra Canada e Stati Uniti? E come resiste contro Trump, un uomo contro cui aveva scritto già nel 2018 la canzone “Sword of Damocles”, e che quest’estate l’ha fatta infuriare usando la sua versione di “Hallelujah” in un comizio?
«Lo so, sono tempi terribili. Pericolosi. Ci sentiamo come alla vigilia di una guerra. Però si lotta: per esempio partecipo alle manifestazioni contro la Tesla, compongo canzoni, cerco di stare là fuori. Non vorrei sembrare troppo ottimista, ma sono certo che l’America farà fronte. Penso che abbia ragione la mia amica Rachel Maddow (conduttrice di MSNBC e figura di riferimento per la comunità LGBTQ+, ndr) quando fa il paragone con l’epidemia di Aids e riconosce che in fondo, nonostante i lutti, quello è stato il periodo migliore della sua vita: perché nacque una nuova solidarietà, i nostri problemi si presero il centro dell’attenzione e tutto cominciò a cambiare. Tornò la passione. Certo i miei parenti e i miei amici che vivono in Canada raccontano di una nazione in preda al panico, e del paragone che si fa sempre più spesso con l’Ucraina invasa dalla Russia. Anche se credo che le due situazioni non siano confrontabili, perché Putin tiene la Russia sotto il giogo da 25 anni e noi abbiamo Trump da qualche mese appena. Se mai gli Stati Uniti tentassero di invadere il Canada, sono certo che non mancherebbe una mobilitazione di massa».
Accennava al fatto di reagire al momento storico con il lavoro creativo. Che cosa sta componendo?
«Il mio “Dream Requiem” ha debuttato a Parigi l’estate scorsa e arriverà ad Amsterdam, in Germania e a Los Angeles. È stata un’esperienza molto intensa, molto spirituale. E anche se continuo a definirmi agnostico, devo riconoscere che approfondire certi antichi testi religiosi mi ha davvero emozionato. Il fanatismo è uno dei grandi problemi della nostra epoca, ma bisogna restituire rilievo alla religiosità».