il Fatto Quotidiano, 19 marzo 2025
“Revisione radicale” del piano VdL: i falchi ora si piegano a Schlein
“La mediazione trovata nel Pd dimostra che non occorre alcun congresso: se i democratici si confrontano tra loro, si trova la sintesi migliore”. In realtà la sintesi della giornata non è tanto quella rappresentata dalla risoluzione del Pd al Senato in vista del Consiglio europeo, ma quella fatta da Paola De Micheli con quest’affermazione, subito dopo la fine della riunione dei gruppi parlamentari dem.
Perché dopo lo strappo e le divisioni di Strasburgo, dopo giorni di trattative e di riunioni, i dem si mettono d’accordo su un testo che contiene la parolina magica “radicale”, riferito al cambiamento da imprimere al Piano ReArm Eu di Ursula von der Leyen. Un aggettivo che sembrava troppo netto alla minoranza, che però alla fine cede. E così nella risoluzione si legge che serve una “radicale revisione” del piano che va “nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri” perché “non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune”. È la linea di Elly Schlein. E in effetti la segretaria interviene durante l’assemblea di deputati e senatori per chiarire: “Questa risoluzione ci permette di entrare a gamba tesa nelle contraddizioni della maggioranza”. E ancora: “Siamo gli unici a entrare nel merito delle questioni, a dire sì alla difesa comune e come dobbiamo costruirla, a dire no a ciò che va a sostegno invece del riarmo dei singoli 27”. I dem interpretano come una sorta di assist anche le dichiarazioni di Mario Draghi in audizione ieri in Senato, che sul Piano dice: “La difesa comune dell’Europa” è “un passaggio obbligato” nel quale “gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit” e dunque “il ricorso al debito comune è l’unica strada”. Se Schlein rivendica di aver ottenuto il placet alla sua linea che le era mancato a Strasburgo, la minoranza ostenta soddisfazione: “La parte sul Libro bianco contiene le nostre indicazioni sull’utilizzo di strumenti già disponibili per gli investimenti in difesa”, dice Alessandro Alfieri, il coordinatore. Nel testo, in effetti, si dà il via libera agli investimenti, condizionati alla difesa comune e non a detrimento delle priorità sociali di “sviluppo e coesione”. Con “la critica radicale agli aumenti su base nazionale senza condizionalità” si tratta di “un testo equilibrato”, chiarisce Alfieri, seduto dall’inizio al tavolo della trattativa. Va detto che la segretaria non si è mai detta contraria alla Difesa comune, anche se ha evitato di mettere esplicitamente l’accento sulle spese necessarie.
Nella mediazione pesa la volontà dei riformisti di evitare il congresso, dopo che Schlein ha fatto capire di essere pronta a forzare. Non hanno un candidato, non vogliono essere costretti ad andarsene se sconfitti. Dunque, hanno lavorato per evitare lo showdown. In questo contesto, l’intervento in dichiarazione di voto lo fa il capogruppo, Francesco Boccia (che ieri compiva gli anni), tra i più vicini alla segretaria, che invita Meloni a cambiare idea e a scegliere l’Europa, non Trump. Ieri in Senato si è votato solo il testo della maggioranza. Oggi alla Camera, dove è previsto l’intervento di Schlein, si voteranno tutte le risoluzioni dell’opposizione. Il Pd è pronto a dire compatto sì al proprio testo. L’indicazione sarà l’astensione su quelli delle altre opposizioni. Da capire se qualcuno alla fine si smarcherà. L’ala di Paolo Gentiloni potrebbe dire no a quella M5S. Un rischio: Schlein non ha ancora accantonato l’idea dei gazebo.