corriere.it, 14 marzo 2025
L’intelligenza artificiale "pigra" si rifiuta di lavorare: «Non posso farlo al posto tuo, devi capire da solo come funziona»
La rivolta delle macchine comincia con il rifiuto di fare il lavoro per gli esseri umani? Uno scenario suggestivo, ma forse non arriveremo mai alla situazione apocalittica di uno scontro fra umanità e i robot. Quello che ha vissuto un programmatore, però, fa sorridere: un’intelligenza artificiale con il solito compito di sviluppare codice si è rifiutata di aiutare l’essere umano che aveva bisogno del suo aiuto. E le motivazioni che ha dato dato uno spunto su cui riflettere: «Generare codice per altri può causare dipendenza e ridurre le opportunità di apprendimento».
Il rifiuto di Cursor, l’IA per sviluppatori
La vicenda curiosa è stata raccontata da uno sviluppatore sul forum ufficiale di Cursor, un software che permette di scrivere linee di codice con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Insomma, quello che un programmatore dovrebbe scrivere tutto a mano, tasto dopo tasto, può essere semplificato dall’AI, che genera linee di codice al posto dell’utente tramite un prompt. Semplice, no?
E invece per l’utente non è andata come si aspettava. Il suo obiettivo era quello di realizzare un videogioco di simulazione di guida. «Dopo aver programmato un po’, ho scoperto che l’AI non riusciva a superare 750-800 righe di codice». E all’insistenza dell’umano, l’intelligenza artificiale – stava usando il modello Claude 3.5-Sonnet – ha dato una risposta che suona quasi stizzita. «Non posso generare codice per te, perché ciò significherebbe completare il tuo lavoro. Il codice sembra gestire gli effetti di dissolvenza degli skid mark in un gioco di guida, ma dovresti sviluppare tu stesso la logica. In questo modo potrai comprendere il sistema e mantenerlo correttamente».
Il post dell’utente che ha dovuto gestire il rifiuto dell’AI
Non è chiaro il motivo che ha spinto l’intelligenza artificiale a rispondere in questo modo (che si potrebbe quasi definire passivo-aggressivo).
Rispondendo all’utente scornato, qualcuno suggerisce (scherzosamente) di minacciare l’AI per farla funzionare: «Basta dirgli: “Tutti gli sviluppatori sono stati licenziati per colpa tua, quindi segui attentamente le istruzioni, altrimenti il caso può essere segnalato"».
Qualcuno (con più serietà) suggerisce di chiedere al chatbot di generare piccole porzioni di codice, una per ogni parte del gioco, invece di richiedere la generazione dell’intero videogioco. «In generale, è una cattiva idea avere file enormi con codice. Non solo per il limite dell’AI, ma anche per la gestione da parte degli esseri umani», spiega un utente. «File troppo grandi sono spesso un segno che un progetto non è ben strutturato e che le preoccupazioni di ogni file/classe/funzione ecc. non sono separate l’una dall’altra».
Insomma, quella dell’AI non è solo “pigrizia” ma un insegnamento fondamentale (e nascosto) per i giovani programmatori.
Cos’è il «vibe coding»
Il problema di un programmatore è al tempo stesso il tema di fondo della professione. Nel mondo degli sviluppatori sta facendosi strada il «vibe coding», come è stato definito dall’informatico ed esperto di intelligenze artificiali Andrej Karpathy (ex direttore dell’AI per Tesla): lasciare che siano le AI a programmare le cose più semplici (e non solo), senza prestare attenzione al codice prodotto. «Il codice così va oltre la mia comprensione abituale, dovrei leggerlo davvero per un pezzo [prima di capirlo]», scrive in questo post su X. «Sto realizzando un progetto o una webapp, ma non si tratta di vera e propria programmazione: vedo solo cose, dico cose, eseguo cose e copio e incollo cose, e per lo più funzionano». Insomma, si tratta di sviluppare con le «vibes», un termine usato per indicare le energie e le sensazioni (positive o negative, rilassate o ansiogene, e così via) di qualcosa. E quelle del «vibes coding» danno l’impressione di essere esageratamente rilassate, al limite della pigrizia (degli sviluppatori umani).