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 2025  marzo 14 Venerdì calendario

Garlasco, le parole in esclusiva di Sempio: “Contro di me una caccia all’uomo, non sono un mostro”

Guardo negli occhi Andrea Sempio e ripenso a Sherlock Holmes che elucubrando con il suo Watson diceva: «Dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità». E lui, Andrea, deve rappresentare la verità, mi dicevo lo scorso giovedì 30 gennaio quando a metà pomeriggio l’ho incontrato in un bar bohème nel centro di Milano. Sembra passata un’era geologica oggi che si scopre come tutto sia rimesso di nuovo in discussione. Chi è il colpevole? E quell’incontro (organizzato per il mio impegno a teatro) diventa lo specchio che riflette un sopravvissuto finito nel tritacarne e poi uscito archiviato con l’indagine che nel 2020 lo portò sul banco degli indagati, considerato da tanti il vero mostro di Garlasco.

Lui fissa e tace, è un uomo silente, riflessivo. Medita parole e scelte in un’educazione che segna l’agire. Poi mi manda le sue considerazioni. Oggi dovrebbero suonare da memento, prima di puntare l’indice da leone da tastiera, con gratuita certezza, contro l’assassino di Chiara Poggi. Chi è il colpevole? Al momento c’è un condannato definitivo dietro le sbarre e forse si dovrebbe aspettare prima di scrivere sentenze sociali. Sempio ricorda la prima inchiesta conclusasi in niente. Aveva 19 anni: «Ho vissuto una guerra, in cui mi svegliavo e andavo a dormire sentendo mia madre piangere, con mio papà che doveva andare di nascosto a far la spesa in altri paesi, perché se lo vedevano in giro gli correvano dietro. Erano tutte giornate in cui mangiavo a malapena, non dormivo. Seguivo le notizie, vedevo comparire dei pezzetti della mia vita stravolti per creare l’immagine del mostro».
Non sta esagerando per vittimizzarsi? Il tono non è quello, è gelido frutto di un rifiuto profondo, di un disgusto per quanto vissuto. «Ricevevo lettere anonime direttamente a casa: “Spera che ti prendano loro prima che ti prendo io…Vai a costituirti…Ricordati che Stasi è dentro ma noi siamo fuori”. C’era chi andava dalle mie colleghe di lavoro per chiedere loro se non avessero paura a stare vicino a un mostro. E poi i social che hanno permesso a tutti di partecipare alla caccia all’uomo, a far indagare un po’ tutti in proprio. Era il crollo della realtà. C’era chi mi seguiva filmando di nascosto per poi postare il video a colpi di like, chi vedevo indugiare fuori casa sul marciapiede per catturare qualche mio momento domestico. Ma non solo su di me, anche amici e parenti tutti tirati dentro questa storia, con le loro foto pubblicate sui profili, aneddoti inventati. Era come se avessi una malattia e fossi diventato contagioso, chi mi voleva stare vicino veniva coinvolto. Ed io avevo vergogna e senso di colpa per non riuscire a proteggere me stesso e le persone a cui voglio bene ma non puoi difenderti, non puoi contrastare tutta questa valanga che ti cade addosso. Se rispondi offri materiali per ulteriori speculazioni, come ti muovi sbagli e così perdi la voglia di lottare. È come con i bulli, se rispondi li fai divertire di più». Oggi, certo, la situazione è diversa e più seria perché a credere nell’innocenza di Alberto Stasi e negli indizi contro Sempio non sono i parenti del bocconiano ma la procura di Pavia nel suo nuovo vertice. E quindi è proprio l’accusa a riguardare i passi compiuti dai pm in passato, oggi a sollevare interrogativi. A chi ha aperto la porta Chiara, quella mattina con il suo pigiama rosa e righe bianche, quando stava facendo colazione, latte e cereali? Abbiamo una certezza alle 9,12 del 13 agosto 2007, sola in casa, ha disinserito l’allarme. Era viva.

C’è sempre una devastante normalità in queste tragedie, i fotogrammi un attimo prima assomigliano dannatamente alle nostre esistenze, a quelle dignità con le quali arrediamo cuore e casa. Poi il buio, una vita spezzata, i parenti che precipitano, senza più riemergere. Ma adesso in questa storia si aprono altri drammi che partoriscono incertezze e sospetti. «Durante quella inchiesta una delle cose più assurde è che per la gente tu diventi un personaggio televisivo, né più ne meno uno di quelli che loro vedono in televisione. Dopo che ti hanno seguito per un bel po’ di tempo, hanno visto gli speciali, magari dopo aver espresso odio e si son fatti le loro teorie, tu diventi uno dei loro personaggi. E ti dicono: “Oh grande, ti ho visto ieri in televisione. Io non so cosa rispondere perché non sono un personaggio, quello che vivo è vero e reale, ha un peso nella vita con delle conseguenze, non è una fiction, rimangono conseguenze ma a loro questo non interessa, non lo capiscono e tu non lo puoi contrastare. Vedi come prendono dei pezzettini della tua vita, li stravolgono per costruire il mostro, senza alcun interesse per la verità e tu rimani impotente».
In questi racconti, alla fine, ritrovi diaboliche coincidenze con quanto subiscono i parenti delle vittime come Rita, la mamma di Chiara. Poco dopo aver perso la figlia un giorno ricevette sul telefono di casa una chiamata. Era una signora che la chiamava dal Lazio senza conoscerla, senza filtri. Tutta agitata le confidò che sapeva cos’era successo alla ragazza, proponendole la sua teoria. Senza alcuna vergogna.
Quindi, abbiamo Sempio rimesso con la testa sott’acqua, dopo quanto già patito e poi questa ipoteca che condiziona ogni pensiero: e se fosse tutto un’incredibile sequenza di errori giudiziari? Se fossimo a un concorso di sciatterie e menzogne, se, in definitiva, da otto anni, fosse dietro le sbarre un ragazzo innocente? Abbiamo vaga consapevolezza dei danni inferti?