Corriere della Sera, 14 marzo 2025
Hamilton: «Grazie alla Ferrari vedo mia mamma felice, voglio il Mondiale e diventare papà. Milano mi ha aperto gli occhi»
«Voglio tornare al Castello di Milano per conoscerne la storia. Quando ero là ho chiesto a qualcuno in squadra di raccontarmela. Ma non sapevano e non c’era tempo: vorrei scoprire di più anche sulla città e sugli aspetti culturali. Poi devo visitare le Dolomiti e la Sicilia». Lewis Hamilton, una curiosità pari soltanto alla voglia di vincere con la Ferrari, domenica la sua prima gara qui in Australia dove sarebbe contento «di finire fra i primi cinque». F1, razzismo, libri, passioni: parla di tutto...
Qual è il suo primo ricordo della Ferrari?
«Un Gp dell’epoca di Schumacher. Ancora prima la collego ad alcuni film, ne guardavo tantissimi. Un’auto rossa, in “Ferris Bueller’s Day Off” (in italiano “Una giornata pazza di vacanze”), per questo ho voluto rifarne un pezzo in un video pubblicato sui social».
Complimenti per l’interpretazione.
«Grazie, ma non è mai bello rivedersi. Devo esercitarmi ancora tanto».
Ama il cinema ed è diventato produttore. Com’è stato lavorare con Brad Pitt al film sulla F1?
«Esperienza incredibile, passione vera. C’erano due sceneggiature sul mercato, Joe (Kosinski, il regista, ha diretto anche il sequel di Top Gun ndr) mi ha convinto con la sua. Volevo una storia spettacolare ma autentica, per conquistare i nuovi ma anche i vecchi appassionati».
Brad Pitt ha imparato a guidare anche grazie ai suoi consigli. Come se la cava?
«Brad ormai è un ottimo pilota. La prima volta siamo andati insieme in un posto vicino a Los Angeles e abbiamo guidato tutto il giorno. Mi è piaciuto il suo entusiasmo: “Posso recitare e anche guidare”. È andato a fare i test nei circuiti con le F2, si è allenato. Sono un suo grande fan, è un piacere portarlo in macchina e adesso mi fido se c’è lui al volante».
Lotta al razzismo e impegno per i diritti delle minoranze e delle donne, ha portato questi temi in F1. Che cosa la rende più orgoglioso e quanto c’è ancora da fare?
«La lotta è per un ambiente più inclusivo, bisogna continuare a spingere. La mentalità della gente non cambia dall’oggi al domani, dobbiamo parlarne e agire. Per i ragazzini che ci guardano, altrimenti questo mondo tornerebbe a essere uno spazio tutto dominato dagli uomini. Vediamo che succede dai governi, negli Usa stanno facendo passi indietro e respingono certe tematiche».
Pensa che gli Usa stiano facendo passi indietro?
«Sì. Le faccio un esempio: a un mio amico che gestisce borse di studio per ragazzi provenienti da minoranze e da ambienti socialmente difficili è stato detto che non può più farlo. Gli Usa sono abbastanza differenti, ma questo non significa che non possiamo portare una luce positiva».
Suo papà è qui, come nel 2007 quando lei ha debuttato in F1. Sua madre era a Fiorano il primo giorno che ha guidato una Ferrari. Quanto è importante averli vicino?
«I miei hanno sacrificato tutto per me, mamma mi ha lasciato vivere con papà perché potessi finanziare la carriera da pilota; quindi ha rinunciato a un figlio ed è stato duro. È la prima volta dopo tanto tempo che è felice di vedermi correre, lo è perché sono passato alla Ferrari. A Fiorano le ho detto: “Sei contenta?”. E lei mi ha risposto di sì. E io: “Ma come? Non lo sei mai quando giro in pista”. Allora ci siamo abbracciati».
Ha detto al Time che il fatto di non essere sposato e di non avere figli le dà una motivazione in più. Ma non le manca qualcosa?
«Parlavo solo di me, non giudico gli altri. Se avessi un figlio avrei tutti gli occhi su di lui/lei, perché amo i bambini. Mi sento uno zio fortunato a passare del tempo con i nipotini. Ma adesso l’unico obiettivo è vincere il Mondiale, crescere e portare avanti la squadra. Ammiro chi riesce a fare il proprio lavoro al meglio e a crescere anche tre figli, in genere sono superdonne. Non ho rimpianti, sono felice dove mi trovo: voglio attaccare al massimo».
Però si immagina padre un giorno?
«Sì, mi piacerebbe molto».
Adora Milano, perché?
«Mi ha aperto gli occhi: quando ero sul palco in piazza Castello ho visto bellezze mai notate. Forse perché prima camminavo a testa bassa. Come nel libro “L’alchimista” di Coelho. Il protagonista va dal Saggio che gli dice: “Non ho tempo per te, torna più tardi e ti riceverò. Ma prendi questo cucchiaio e non far cadere l’olio”. Quando torna il Saggio gli chiede: “Hai visto le mie opere d’arte?”. E quello: “No, ero concentrato sul cucchiaio”. Ecco, mi sembra siamo tutti concentrati su qualcos’altro mentre la vita ci scorre accanto. Quando sono stato a Milano di recente, ho cercato di dimenticare il telefono per essere presente e lasciarmi trasportare dall’energia».
Moda, cinema, investimenti e società di ogni tipo, inclusa una quota dei Denver Broncos (football americano). Dove trova il tempo?
«Ho un team efficiente a Londra che cura gli affari. A parlare sempre e solo di corse, impazzirei. Bisogna essere creativi: scegliere un cast, organizzare una sfilata, per me sono boccate di aria fresca».
Oltre lo sport chi sono le persone che più l’hanno ispirata?
«Gandhi e Mandela, i miei modelli. Inoltre, gente che ho conosciuto o frequento: Michelle Obama, è straordinaria. Mellody Hobson, mia socia nei Broncos (una delle donne più influenti negli affari in America ndr). È come una sorella maggiore, è una guida: se mi viene un’idea la chiamo».
È vero che da quando è alla Ferrari ha cambiato look? Come sceglie i vestiti?
«Verissimo. Il mio stile è in continua evoluzione. La moda non si ferma, proprio come lo sport. Più la studio e più so come voglio presentarmi. Sono entrato in un nuovo decennio della vita e mi sono chiesto: “Cosa cambio? Non posso mica indossare le stesse cose dell’anno precedente”».
A fine stagione sarebbe felice se...
«Se arrivassi primo, voglio vincere e la Ferrari pure: insegue il Mondiale costruttori da un po’ e io voglio aiutarla. È presto per fare pronostici ma voglio crescere e anche migliorare il mio italiano. Non dobbiamo lasciare nulla di intentato e dare sempre il massimo, sarei felice se fosse così».