Corriere della Sera, 14 marzo 2025
Intervista a Matilda De Angelis
«Mio fratello è una persona autistica e, quando i miei genitori non ci saranno più, io e gli altri miei fratelli dovremo prenderci cura di lui». Quando ho conosciuto il mio ragazzo, gli ho detto queste parole. Non ho voluto girarci intorno. Chi vive in famiglia con persone autistiche sa bene quanto una certa chiarezza sia necessaria, e anche quanto si debba esserne orgogliosi.
La vita da grandi è il film di Greta Scarano, per la prima volta alla regia di un lungometraggio, liberamente ispirato al libro autobiografico dei fratelli Tercon, «Mia sorella mi rompe le balle». Una storia di autismo normale. Margherita e Damiano Tercon sono entrambi divulgatori e content creator sui social e, con intelligenza e ironia, parlano della condizione delle persone autistiche nella loro quotidianità, contribuendo a sensibilizzare il pubblico su un argomento di cui, ancora oggi, si parla poco: i siblings, i fratelli e le sorelle di persone autistiche.
La vita da grandi mette in luce il punto di vista di Irene, una sorella che cresce con la consapevolezza che un giorno dovrà prendersi cura del fratello con disabilità. Fin da bambina, si abitua a non chiedere niente e a non disturbare i genitori, concentrati su di lui. Il film mostra anche la prospettiva di Omar, il fratello che vive con difficoltà il confronto con sua sorella, che vive esperienze a lui proibite a causa dell’apprensione dei genitori. Il tema della disabilità, le questioni come l’accudimento e il «dopo di noi» dei genitori, però, non sono l’unico fulcro della narrazione. Dietro le scelte di vita di Irene e Omar ci sono anche i loro sogni: lei accetta il compromesso di una «vita adulta», rinunciando al suo sogno di fare la comica professionista, mentre lui vuole a tutti i costi diventare un famoso rapper, trovare la donna ideale e avere tre figli, «perché tre è il numero perfetto».
Matilda, lei ha fratelli?
«Sì, ma ti prego diamoci del tu. Mia madre mi ha insegnato a non dare mai del “Lei” a nessuno, a non rispettare le gerarchie».
Omar in una scena parla di Giuseppe della Casa, l’autore del Galateo: anche mio fratello Luca adora quel libro. Qual è il tuo rapporto con le regole?
«Non sono esattamente una ragazzaccia, ma quasi. A volte è come se fossi due persone: una è la prima della classe che fa di tutto per arrivare preparata, l’altra invece se ne frega. Un po’ secchiona e un po’ anarchica».
Tuo fratello?
«Siamo persone diverse, io sono la maggiore e mi sono sempre sentita responsabile per lui, e contemporaneamente mi sentivo invisibile».
Come Irene, che interpreti nel film.
«Sono diventata grande a sette anni quando i miei genitori si sono separati. Da piccola, a scuola, parlavo della separazione dei miei, le maestre erano contente che io lo facessi. Dicevano che aiutavo anche gli altri compagni di classe nella mia stessa situazione».
Quante altre volte sei diventata grande?
«A sedici anni, quando cantavo nella mia band e andavo in giro in tour, sono state le prime volte in cui dormivo fuori casa. E un’altra volta in cui sono diventata grande è stato quando ho firmato il mio primo contratto, con
Matteo Rovere e Stefano Accorsi.
Veloce come il vento?
«Esatto. Andavo in quinta superiore quando un mio caro amico mi ha parlato di un casting, mi ha convinta dicendomi che si trattava solo di fare una foto e andarmene».
E invece?
«Arrivo lì e mi dicono che devo fare una prova attoriale. M’invitano nella stanza insieme a un ragazzo, dicono: “Questo è tuo fratello tossicodipendente, non ne puoi più dei suoi comportamenti tossici e sei arrabbiatissima con lui, devi buttarlo fuori da casa vostra”».
E?
«Ho passato tutti i provini, fino a quello a Roma insieme ad Accorsi, ottenendo la parte. Poi, sono sparita».
Come sarebbe?
«Non volevo farlo. Il fatto è che non faccio le cose che non so fare».
Cosa intendi?
«Il primo giorno in prima elementare ho pianto perché non sapevo né leggere né scrivere, mia madre per calmarmi mi disse che andavo a scuola proprio per imparare, al tempo me ne feci una ragione».
Quando hai capito di essere perfetta per quella parte?
«Sono tornata a Bologna e Matteo Rovere ha chiamato mia madre tutti i giorni».
Ti ha convinta tua madre?
«Lei è una strega».
Ringraziala da parte mia.
«Adesso è nel periodo che io chiamo “Gandalf il bianco”: veste solo tonache bianche, ha i capelli bianchi lunghissimi ed è una buddhista sindacalista».
Tu credi nella reincarnazione?
«No, ma se dovessi credere in qualcosa direi il destino, anche se mi terrorizza».
Come mai?
«Mi chiamo Matilda come omaggio alla protagonista di Lèon di Luc Besson, quest’estate ho girato con lui».
Natalie Portman, che in quel film interpreta Mathilda Lando, ha dichiarato di non aver mai sopportato le attenzioni morbose degli adulti per aver interpretato quella parte.
«Ha assolutamente ragione. Neanch’io da piccola sopportavo essere guardata o abbracciata da nessuno. Mia madre mi definiva “ostile”».
Più che ostile, direi sana.
«Sono sempre stata tutta d’un pezzo, devo tenere tutto in ordine e sotto controllo. Da bambina mettevo in fila le scarpe di tutti in casa, per tenere in ordine, mi sembrava una cosa carina».
Ma?
«Era un sintomo del “terremoto” che stavo vivendo. La mia, come un po’ tutte, è una famiglia che ha attraversato delle difficoltà, senza però farmi mai mancare nulla, forse un giorno ne parlerò. Mi chiedo: raccontare la mia vita va a ledere la privacy di qualcun altro, la vita di quelli che racconto?».
L’adolescenza può essere un trauma non richiesto.
«In adolescenza ci sentiamo tutti unici e speciali, come possedessimo un dolore che è solo nostro e di nessun altro, ma non è così. Soffriamo tutti».
Nel film, Irene a un certo punto scappa dalla sua famiglia, tu hai mai pensato di fuggire? Sparire?
«Scappare mai, diventare invisibile sì, come ho detto prima. Nel mio condominio non sanno nemmeno chi sono».
In che senso?
«Ho parlato con dei vicini una volta e mi hanno detto che da noi si era trasferita un’attrice, mi hanno chiesto se la conoscessi (ride; ndr)».
Mi hai detto che tuo fratello adesso sta da te.
«Scrive sceneggiature, per lui reciterei».
Hai accettato subito di girare con Greta Scarano?
«È una cara amica, è lei che mi ha proposto di interpretare Irene».
Quante volte hanno pensato a te per una sceneggiatura?
«Tante».
Nel film c’è Yuri Tuci nei panni di Omar.
«Ci è voluto un casting molto lungo per trovarlo. Greta ha scelto Yuri per il ruolo di protagonista non perché sia una persona autistica, ma per il suo straordinario talento attoriale. Un giorno ha visto il suo spettacolo a teatro Out is me e ha capito che sarebbe stato in grado di dare vita a un personaggio molto distante dalla sua personalità, perché è un attore formidabile».
Com’è stato girare con Yuri?
«È stata un’esperienza umana e attoriale molto importante per me. Sul set capitava di fare delle passeggiate sul mare. Una volta mi ha detto che non aveva mai fatto una passeggiata al mare con una ragazza».
Irene e Omar nel film hanno dei segreti. Tu e tuo fratello ne avete?
«Quando stavamo dal fidanzato di mia madre, avevamo in garage un televisore con la Playstation e una stufetta elettrica. Per arrivarci dovevamo uscire di casa e fare un minuto di strada a piedi, anche d’inverno. Era il nostro fortino segreto».
Ti piacciono i videogiochi?
«In questo periodo adoro Far Cry e Hitman. Ultimamente ho giocato anche a Hogwarts Legacy, mi è piaciuto molto».
Puoi sceglierne uno solo: Tolkien o Rowling?
«Signore degli anelli, tutta la vita».
Libri sul comodino?
«I libri della mia vita: Chiedi alla polvere, L’isola di Arturo, La noia. Tutti trovati in casa di mio padre, è lui che ha plasmato i miei gusti in fatto di musica, cinema e letteratura».
Fiaba preferita?
«Vorrei interpretare Alice nel paese delle meraviglie. Da piccola adoravo guardare il cartone, anche se mi faceva paura».
Hai sentito cosa sta promuovendo il presidente argentino Milei riguardo alle persone con disabilità intellettiva?
«Vorrebbe sdoganare di nuovo dei termini offensivi per rivolgerci alle persone con disabilità, come se si trattasse di una malattia e non di una condizione. Quello che sta accadendo nel mondo in questo momento mi fa sentire impotente e arrabbiata».
Mi sento nello stesso modo.
«È anche il motivo per cui, a volte, vivo dei lunghi periodi senza i social, sento l’esigenza di separarmene. Lo faccio quando ho bisogno di schermarmi, di non sentirmi triste per un paio di mesi, sforzandomi anche a uscire per incontrare le persone dal vivo. Una volta per due anni non sono riuscita quasi a uscire di casa».
Motivo?
«Sincera? Non volevo più essere ripresa, non volevo che nessuno ritoccasse la mia immagine, non sopportavo più la mia faccia nelle foto e nei video».
Lo avevi scritto in un bellissimo post sulle cicatrici.
«La pelle è un organo, ho imparato a prendermene cura. È il confine tra l’esterno e l’interno, che finalmente ascolto e curo molto di più. Non si parla mai abbastanza di salute mentale».
Rapporto con la fama?
«I miei amici sono quelli di sempre, mentre se incontro persone nuove preferisco prima giocare a un gioco di società, e solo dopo conoscerli un po’ meglio. Ho gli stessi amici del liceo, quando torno a Bologna frequento pure gli stessi posti. Quando incontro persone nuove non fingo nulla, non maschero un bel niente. Sono fatta così, e così è se vi pare. Non voglio relazioni tossiche, me ne tengo alla larga».
Che lavoro sognavi di fare da grande?
«Volevo fare la traduttrice, parlo molto bene l’inglese, un po’ il francese».
Guardati adesso.
«Non ho sempre voluto recitare, ci sono arrivata in maniera non consenziente, come travolta, mentre facevo altro. Si dice che ognuno insegua i suoi sogni, a me sembra che i miei sogni mi abbiano rapita».
Chi è Matilda De Angelis
La vita
Nata a Bologna, ha 29 anni. Figlia di un assicuratore e di un’insegnante che si sono separati quando aveva 7 anni, ha un fratello, Tobia, di 5 anni più giovane, anche lui attore e ora sceneggiatore.
La carriera
Il debutto al cinema è avvenuto nel 2016 con il film di Matteo Rovere Veloce come il vento. Ha recitato in 12 film e 5 serie tv, tra cui nel 2020 una mini serie internazionale, The Undoing – Le verità non dette, con Nicole Kidman e Hugh Grant.
I premi
Nel 2016 ha vinto il Premio Biraghi per Veloce come il vento e nel 2021 il David di Donatello come migliore non protagonista per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose di Sydney Sibilia