Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 13 Giovedì calendario

Quei distinguo di Meloni: “Basta attacchi a Trump”. Irritazione dei volenterosi

Se Giorgia Meloni ha dato ordine ai suoi eurodeputati di non votare a favore della risoluzione per il sostegno all’Ucraina, ma di astenersi – mossa del tutto inedita per FdI – è perché il testo concertato da popolari e socialisti, per la premier, sarebbe stato zeppo «di insulti contro gli Usa e Donald Trump». Così ragionava ieri la premier, sentendosi di continuo, dalle prime ore della mattina, con i suoi colonnelli a Strasburgo. I quali hanno prima chiesto il rinvio del voto sul testo per Kiev, per tenere conto delle intese di Gedda. Poi hanno provato a far votare al Ppe un emendamento che facesse da contraltare ai passaggi più critici nei confronti degli Stati Uniti, in cui si rilanciava l’idea della premier di un vertice urgente Ue-Usa, per rafforzare la cooperazione transatlantica. Entrambe le mosse si sono infrante davanti al muro dei popolari, in asse con il Pse. A quel punto la presidente del consiglio ha deciso di sfilarsi dal sì, pur di non votare un atto che considera polemico con gli Usa e con l’inquilino della Casa bianca. E che secondo i meloniani avrebbe finito per «delegittimare anche gli sforzi diplomatici di Zelensky». E a proposito: Meloni non ha sentito direttamente il presidente ucraino, ieri, ma secondo fonti governative ci sarebbero comunque stati contatti con Kiev, con l’obiettivo di chiarire la posizione italiana nel pallottoliere di Strasburgo. E il distinguo dei Fratelli. Secondo fonti governative, ci sarebbe stato anche un nuovo contatto con la Casa bianca, dopo il summit di Gedda, ma Palazzo Chigi non conferma.
Le ultime mosse della premier hanno irritato altre cancellerie dell’Ue. Sia Parigi che Londra. Meloni ha fatto sapere al collega britannico Keir Starmer che non sarà alla call dei “volenterosi” convocata per sabato, se non cambierà l’ordine del giorno, per ora incentrato sull’ipotesi di inviare contingenti di pace a Kiev. Solo se cambiasse il perimetro del summit, allargandolo alla difesa in generale, potrebbe ripensarci ed apparire in video.
Chiusa la partita dell’Eurocamera, a destra va trovata la soluzione a un tetris decisamente più complicato. Entro martedì le forze della coalizione devono presentare un testo unitario da far votare in Parlamento in vista del consiglio europeo del 20-21 marzo. Le posizioni in maggioranza sono distanti, quasi opposte, sul Rearm Eu. Matteo Salvini ancora ieri picconava Bruxelles, «impegnata a rompere le palle» e che sarebbe «il più pesante dei dazi». Ecco perché secondo fonti di primo piano di FdI e di governo si starebbe lavorando a una risoluzione stringatissima. Una riga: «Sentite le comunicazioni del presidente del consiglio, il Parlamento approva». Senza precisazioni o impegni di merito. Sarebbe Meloni, nel suo discorso alle Camere, a tentare una difficile sintesi, rifacendosi alle tesi espresse dal ministro leghista dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, secondo cui non si può procedere al riarmo a scapito di sanità e servizi e che la strada non può essere unicamente (e pesantemente) quella di indebitarsi di più a livello nazionale. Servono garanzie europee che smuovano investimenti privati. Anche di questo la premier ha discusso ieri con il leader olandese, Dick Schoof, ricevuto a Chigi.
La Lega però, nelle prime interlocuzioni di queste ore, ha fatto capire di non gradire una risoluzione così concisa e asettica. Vorrebbe specificare alcuni punti. Per esempio che l’Italia non manderà più armi a Kiev. Salvini ne discuterà oggi, nel consiglio federale convocato a tema «pace», che limerà anche gli ultimi regolamenti sul congresso di aprile.
Probabile che la premier e il vice del Carroccio, dopo le telefonate dei giorni scorsi, discutano della risoluzione a quattrocchi, a margine del Cdm convocato per le 17.30. L’altro vicepremier, Antonio Tajani, non ci sarà: nella notte è atterrato in Canada, per il G7 degli Esteri. Oltreoceano, domani avrà un bilaterale con il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, per discutere di Kiev, ma anche dei dazi che preoccupano e della postura dell’Ue, che per Meloni non deve cercare il muro contro muro. In linea generale, Tajani proverà a rilanciare l’idea della premier del vertice Ue-Usa, che per ora non ha il placet di Donald Trump, e soprattutto, in un summit in cui rischia di allargarsi ancora la frattura tra Washington e i partner europei, chiederà, come raccontava ieri in aereo, di «rinforzare la collaborazione tra gli Stati Uniti, l’Italia, la Germania, la Francia e il Giappone, l’Ue, perché abbiamo bisogno di grande coesione per costruire la pace».