Corriere della Sera, 13 marzo 2025
Alessandra Mortelliti e il nonno Camilleri: «S’infuriò perché volevo fare l’attrice. Quando era in coma, prima di morire, gli facevo ascoltare Ella Fitzgerald»
«Nonno mi ripeteva: non giudicare gli altri in maniera avventata, ma cerca di metterti sempre nei panni altrui e, magari, anche di cambiare opinione. Un insegnamento che mi è servito tanto». Il nonno in questione è Andrea Camilleri dell’attrice e regista Alessandra Mortelliti, che il 15 e 16 marzo al Teatro Piccinni di Bari porta in scena l’adattamento scenico liberamente tratto dal romanzo del grande scrittore, «Un sabato, con gli amici», con la regia di Marco Grossi. Lo spettacolo si inserisce tra le iniziative per il centenario della nascita del famoso nonno.
«A proposito dei 100 anni dalla nascita – riprende la nipote – lui rabbrividiva all’idea di arrivare a compiere questa età. Diceva che si può arrivare a questo traguardo solo come un lombrico superstite, anche se nonno è arrivato all’età di 94 anni. Ma la sua testa era quella di un ragazzino. Il romanzo che portiamo in scena sembra scritto da un giovane autore».
Cosa narra il testo?
«È stato pubblicato nel 2009. È un’opera controcorrente, rispetto al resto, è una storia dark che non ha nulla a che vedere con la Sicilia di Montalbano. I personaggi in azione sono dannati, senza possibilità di redenzione».
Chi sono gli amici del titolo?
«La vicenda è ambientata in un quartiere altoborghese di una grande città italiana. Tre coppie di amici, che si conoscono sin dal liceo, trascorrono un sabato al mese per stare insieme con leggerezza, ma ognuno nasconde segreti inconfessabili. Nel sabato sera che raccontiamo, però, entra in scena un altro compagno di liceo, che farà riaffiorare una verità oscura del passato: destabilizzerà il gruppo».
Quali le caratteristiche del suo personaggio?
«È tipicamente camilleriano. Una donna ermetica, che non si riesce a decifrare: vive un tormento interiore con cui combatte».
Lei è figlia di Andreina, primogenita di Camilleri: un nonno ingombrante?
«Assolutamente non ingombrante, ma fortemente presente soprattutto per me, che fino all’adolescenza vivevo con i miei genitori in un appartamento a Roma che comunicava col suo. Tra noi un rapporto quotidiano. Si alzava presto la mattina, si lavava, si vestiva di tutto punto e iniziava a lavorare. Ricordo che, per trovare l’ispirazione, camminava su e giù ossessivamente in salotto, con la sigaretta accesa, il bicchiere di birra in mano e la musica jazz di sottofondo. Lo osservavo in queste sue passeggiate infinite e, quando gli balenava l’idea giusta in mente, si sedeva alla macchina da scrivere».
In famiglia tutti zitti per non disturbarlo?
«Macché! Tutto ciò avveniva nel frastuono degli schiamazzi di figlie e nipotine, anzi... dichiarò che, forse, non sarebbe stato in grado di scrivere nel silenzio, in riva al mare...».
Il successo di Montalbano lo fece cambiare?
«Fu un ciclone che sconvolse tutta la famiglia, ma la cosa divertente è che lui rimase identico con la sua capacità affabulatoria».
Camilleri si diplomò all’Accademia Silvio d’Amico, dove poi ha insegnato recitazione e regia. Fu contento quando anche lei decise di fare lo stesso percorso di studi artistici?
«Per niente: tra noi ci fu una lite furibonda quando seppe che mi stavo preparando per l’esame di ammissione. Non era d’accordo e non ho mai capito perché, forse temeva che la complessità del mestiere attoriale potesse danneggiarmi e... non aveva tutti i torti. Poi, però, quando venne a vedere il saggio di fine corso, è diventato il mio maggiore sostenitore».
Consigli? Suggerimenti?
«Mi disse: i compromessi si possono trovare per le piccole cose, ma quando sei convinta di una tua idea, anche se non accettata dagli altri, devi portarla avanti senza fermarti».
Ha mai avuto ansia da prestazione, essendo la nipote di...?
«Certo. Ma nonno, un gigante, mi ha anche insegnato a non prendermi troppo sul serio, con la dovuta ironia».
L’ultimo ricordo?
«È stato un mese in coma e, quando con mia sorella Arianna andammo nel reparto di terapia intensiva, trovammo il modo di fargli sentire il brano, che amava molto, “Dream a little dream” di Ella Fitzgerald. Avemmo la sensazione che lui lo riconoscesse e che accennasse un sorriso ascoltandolo».