Il Messaggero, 13 marzo 2025
Fidanza: «Un episodio da non drammatizzare, ma nel partito si deve discutere di più»
Carlo Fidanza, vicepresidente di Ecr e capo delegazione di Fratelli d’Italia all’europarlamento. FdI si è astenuta sulla risoluzione a sostegno dell’Ucraina, perché?
«Fdi ha sempre votato convintamente il sostegno all’Ucraina, anche ieri votando emendamenti a supporto di Kiev. La verità è che non si trattava più di una risoluzione sull’Ucraina ma contro gli Stati Uniti e Trump, un testo infarcito di ideologia e assunti che non erano realistici, a maggior ragione dopo l’accordo di Gedda».
State abbandonando Kiev al suo destino?
«Assolutamente no. Stiamo cercando solo di evitare di ampliare il solco tra Usa e Ue con iniziative faziose che rischiano di ostacolare gli sforzi diplomatici e danneggiare l’Ucraina facendo un favore a Putin e ai nemici dell’Occidente».
La Lega, al contrario di Fdi, ha votato contro ReArmEu e si è astenuta sulla proposta di Meloni di cambiare il nome al piano in DefendEU. In politica estera siete sempre più spaccati…
«Finora in ogni votazione in politica estera, compreso il voto per la fornitura di armi a Kiev, la maggioranza ha sempre votato compatta, Lega inclusa. Non abbiamo motivo di pensare che non sarà così anche in futuro. Al contrario, chi è spaccatissima è la sinistra. Non solo tra Pd, M5S e Avs, ma anche all’interno dello stesso Pd dove la linea Schlein è stata sconfessata dalla maggioranza degli eurodeputati dem. Non esiste un partito in Europa diviso come il Pd».
ReArm carica il costo di un maxi piano di 800 mld di euro sui bilanci degli Stati membri. Si allentano i vincoli di bilancio – è vero – ma l’Italia non rischia di pagare un prezzo troppo alto e di sacrificare risorse su sanità e scuola?
«Contrapporre gli investimenti in difesa alla spesa sociale è fuorviante e demagogico. L’Italia da sempre sostiene l’allentamento dei vincoli del Patto di stabilità, non solo sulla difesa ma anche su altre voci di spesa. È chiaro che il debito è sempre debito: per questo il governo si sta impegnando su ulteriori strumenti che stimolino gli investimenti privati con una garanzia europea».
Giorgia Meloni doveva avere un ruolo da pontiere tra Usa e Ue, ma sembra esser stata scavalcata da Starmer e Macron. Pensa possa avere ancora un ruolo prioritario nel dialogo con Trump?
«Non credo sia stata scavalcata, al contrario le iniziative di Starmer e Macron dimostrano quel che Meloni sostiene da sempre: non è possibile pensare a un Occidente diviso in cui Usa e Ue marciano in direzione diverse. Le missioni di Starmer e Macron confermano che, se vogliamo fornire garanzie di sicurezza stabili e efficaci all’Ucraina, non si può fare a meno di Trump. È chiaro che Meloni mantiene un rapporto privilegiato che speriamo possa essere messo a disposizione dell’intera Europa, anche nella partita dei dazi. A patto però che l’Ue smetta di guardare all’amministrazione Trump con la spocchia di questi mesi».
Meloni potrebbe disertare la videocall organizzata dal primo ministro britannico per sabato. Non è un errore chiamarsi fuori preventivamente?
«L’Italia non è mai mancata ai tavoli sull’Ucraina. È chiaro che va capito qual è il perimetro e l’obiettivo di questa riunione. Se la call voluta da Starmer è solo sull’invio di truppe europee, dunque anche italiane, in missioni dal mandato non chiaro e che rischiano di non essere efficaci, la presenza di Meloni non avrebbe senso perché la sua posizione contraria è arcinota».
La Commissione ha annunciato contromisure in risposta ai dazi del 25% decisi dagli Usa su acciaio e l’alluminio. Crede sia questa la strada da battere?
«È normale che la Commissione si prepari allo scenario peggiore, ma noi continuiamo a pensare che esista uno spazio di dialogo per scongiurare una guerra commerciale che farebbe male tanto a noi quanto agli Stati Uniti. Sono certa che Meloni saprà agire al meglio: in Giorgia we trust».