Corriere della Sera, 12 marzo 2025
L’isola del giorno prima di Umberto Eco e il dilemma della longitudine. Così la marina inglese inventò la "globalizzazione"
A Monte Mario a Roma c’è un angolo dimenticato ricco di storia, un frammento di quando eravamo grandi esploratori, navigatori, con lo sguardo sempre rivolto all’orizzonte: si tratta della Torre Mellini, semiabbandonata, a due passi dallo Zodiaco, famoso belvedere sulla città eterna. Di qui passava il Meridiano di Monte Mario. Meridiano zero, cioè di riferimento per tutti gli altri, esattamente come oggi usiamo quello di Greenwich (su cui un accordo definitivo è stato trovato solo all’inizio del Novecento! Ma lo vedremo dopo). Qual è il motivo della presenza della Torre Mellini e anche del suo seguente abbandono? Facile: il Meridiano di Monte Mario doveva passare esattamente al centro del Vaticano e della Basilica di San Pietro e Monte Mario, il punto più alto di Roma, divenne il luogo ideale per la segnalazione. Questioni di impostazioni e di dominio culturali. La povera e dimenticata Torre Mellini rimane a testimonianza di quando il mondo, fino a pochissimo tempo fa, viveva nel caos, ovvero senza standard di riferimento: mentre Londra usava Greenwich e Roma il Vaticano, Parigi usava... Parigi. E una parte del resto del mondo l’Isola di Ferro, a cui faceva riferimento una tradizione millenaria.
Un’entropia che iniziò a mostrare tutta la sua inefficacia quando nell’Ottocento arrivarono i treni ad accelerare i trasporti. “A che ora parte o arriva il treno” fu il dilemma che costrinse l’umanità alla ragione contro l’orgoglio caotico dei nazionalismi (ogni riferimento all’attualità è casuale).
Comunque abbiamo ricordato nel primo episodio di questa storia del tempo e degli orologi – se non l’avete letta eccola qui: Chi ha inventato l’orologio moderno? Galilei, per misurare la velocità della luce (anche se non ci riuscì) – che anche per il minuto secondo ci fu un frastagliato percorso simile fino a quando il grande matematico Gauss non propose ed ottenne di usarlo per la misurazione del tempo negli esperimenti scientifici, così come aveva intuito secoli prima Galileo. Ma prima di risolvere il tema dello standard del meridiano zero c’era bisogno di un salto tecnologico, l’ennesimo nel mondo e nella storia degli orologi meccanici.
Il naufragio che cambiò la storia: la lunga rotta verso la longitudine
Nella notte del 22 ottobre 1707, il mare colpì per l’ennesima volta l’orgoglio della Marina britannica. Una potente flotta, guidata da Sir Cloudesley Shovell, faceva ritorno in patria dopo una missione nel Mediterraneo. Le navi, spinte dai venti infidi dell’Atlantico, credevano di navigare in acque sicure. Ma procedevano sul baratro di un problema scientifico irrisolto da secoli. La mancanza di un metodo preciso per determinare la longitudine portò a un errore di calcolo fatale: quattro vascelli si infransero sugli scogli delle Isole Scilly e quasi duemila uomini persero la vita nelle onde nere della Manica.
Quel disastro (insieme a tutti gli altri) segnò un punto di svolta nella storia della navigazione. Per secoli, marinai e cartografi avevano lottato contro il problema della longitudine, senza trovare una soluzione affidabile. La latitudine poteva essere determinata con relativa facilità grazie alla posizione del Sole e delle stelle (Nord e Sud), ma la longitudine (a Est e a Ovest) restava un enigma insidioso. Si tentò di risolverlo attraverso metodi astronomici, come l’osservazione delle eclissi lunari o il calcolo delle distanze lunari, ma nessuno di questi sistemi era pratico per i naviganti in mare aperto.
Nel 1714, il Parlamento britannico, proprio in seguito al disastro di Scilly, offrì una ricompensa straordinaria: il Longitude Act istituiva un premio fino a 20.000 sterline a chiunque fosse riuscito a fornire un metodo preciso e pratico per determinare la longitudine in mare. Il destino di migliaia di marinai e il dominio marittimo britannico dipendevano da quella sfida a cui partecipò anche Isaac Newton che fece parte della commissione.
Galilei e Christiann Huygens (1629-1695), che aveva trasformato il pendolo in un bilanciere, avevano risolto il problema sulla terraferma con la costruzione di orologi affidabili. Ma chiunque sia stato in mare sa che le onde scombinano gli “organi” interni di qualunque macchina, sia animale sia artificiale. Serviva un orologio speciale.
Ventimila sterline erano una cifra strabiliante, anche se oggi è difficile coglierlo. Per avere un termine di paragonare basti sapere che L’origine delle specie di Charles Darwin venne venduta nel 1859 per 15 scellini. Una cifra importante perché i libri rimasero fino al Novecento una delle merci più care e meno accessibili della storia. Lo si capisce anche dallo stesso successo di vendita di Darwin: ne furono stampate 1.250 copie e al tempo questo numero era sufficiente per diventare un best seller (qui la storia completa sul prezzo della cultura nel Medioevo e oltre in una precedente puntata di questa newsletter).
Il geniale autodidatta
Fu allora che entrò in scena un uomo destinato a cambiare per sempre la storia della navigazione: John Harrison. Artigiano orologiaio, autodidatta e dotato di un ingegno fuori dal comune, Harrison comprese che la chiave per risolvere il problema non era nelle stelle, ma nella tecnologia del tempo. Se un marinaio avesse potuto portare con sé un orologio capace di mantenere un’ora esatta rispetto a un punto di riferimento (come il Meridiano di Greenwich o un altro di cui si conosceva l’orario esatto), avrebbe potuto confrontarla con l’ora locale determinata dall’altezza del Sole e calcolare così la sua posizione longitudinale con precisione. In sostanza basta partire da un porto di riferimento A con un orologio che misura con precisione l’orario del posto. In un qualunque giorno della navigazione bisogna attendere che il Sole sia nel punto più alto (lo zenit) che coincide con esattezza al mezzogiorno del punto B in cui siete. La differenza con l’orario dell’orologio che continua a misurare l’orario di A ci dirà dove ci troviamo (con il sistema moderno il mondo è diviso in 12 ore a est di Greenwich e 12 ore a ovest: visto che la circonferenza è pari a 360 gradi, ogni meridiano pari a un’ora è di 15 gradi. Difatti 15 X 24=360. I conti tornano. E la posizione anche. A patto che lo strumento di misurazione del tempo sia molto affidabile e non influenzato dalle onde).
Harrison dedicò decenni della sua vita a costruire un orologio che potesse funzionare in mare, resistendo ai movimenti delle navi, alle variazioni di temperatura e all’umidità. I suoi primi modelli erano straordinariamente complessi, ma non ancora pratici. Con il passare degli anni, perfezionò il suo progetto fino a creare il famoso H4 (Harrison4), un cronometro marino che sembrava un orologio da tasca, ma con una precisione mai vista prima. In pochi anni passò da un prototipo da 34 chilogrammi a un piccolo oggetto che gli valse metà del premio, cioè 10 mila sterline. La Marina fu taccagna... grazie agli orologi di Harrison mantenne il controllo dei mari a buon mercato, così come fece grazie a un medico scozzese del Settecento, James Lind, che è considerato il padre del concetto di terapia e che risolse il disastroso tema dello scorbuto nei lunghi viaggi (poche gocce di limone tutti i giorni). Un segreto che gli inglesi tennero ben protetto a lungo. Poi ancora oggi c’è chi mette in discussione che gli investimenti in scienza, conoscenza e tecnologia non siano un passepartout per l’economia e la crescita della ricchezza.
Dopo molte battaglie burocratiche e innumerevoli test in mare, Harrison dimostrò che il suo cronometro funzionava perdendo una manciata di secondi, 4-5, in un mese. Nel 1761, l’H4 venne messo alla prova durante un viaggio verso la Giamaica e dimostrò di poter calcolare la longitudine con un margine di errore inferiore a un miglio. Nonostante le iniziali resistenze della commissione del Longitude Act, che tardò a riconoscere i suoi meriti, alla fine Harrison ottenne il riconoscimento che meritava. Ma come detto parziale.
La sua invenzione trasformò la navigazione: i marinai potevano finalmente solcare gli oceani con una sicurezza mai avuta prima. La tragedia delle Isole Scilly non fu vana: da quella notte di tempesta nacque un’idea rivoluzionaria, e grazie alla perseveranza di un uomo e al battito preciso di un orologio, il mondo divenne più piccolo e più sicuro.
In realtà, oltre alla tecnologia (l’orologio) ci voleva anche la politica, molto più difficile da sistemare della stessa sfida tecnologica... solo con la Conferenza di Washington del 1884 tutti convennero di usare Greenwich. A questo punto il cambio di data si trova esattamente dall’altra parte del mondo, una delle anomalie create dal bisogno di standardizzare, capirci e comunicare su cui Umberto Eco giocò un bellissimo romanzo, L’isola del giorno prima.
Di fatto gli orologi di Harrison e gli accordi di Washington hanno creato le condizioni per quella che oggi chiamiamo globalizzazione.
Ps. Quasi tutti in realtà. Parigi mantenne ufficialmente Parigi come meridiano zero fino al 1911. Ci volle il nuovo secolo e le prime avvisaglie della Prima guerra mondiale (al tempo Grande guerra perché non si pensava che saremmo stati così stupidi da farne una seconda ben peggiore) per iniziare a far arrivare i treni e le navi puntuali.