Corriere della Sera, 12 marzo 2025
Daniele Orsato, l’ex arbitro: «Sono stato sotto scorta e temevo per i miei bambini. A chi insulta i giovani dico pensate se fosse vostro figlio»
«Arbitro cornuto!». Il c’era una volta della tribù del calcio sta anche in quell’urlo che arrivava forte e chiaro dagli spalti dei campi di tutta Italia. Era lo sfogo di tifosi più focosi che pericolosi. Un insulto colorito, reso immortale da tanti film italiani, dalle commedie di Lino Banfi agli sfoghi tragicomici di Fantozzi davanti alla tivù. Era il periodo di un calcio che era teatro di passioni esagerate, certo, ma con un confine ancora riconoscibile tra sfottò e aggressione. Oggi quel confine sembra essersi dissolto. Il dissenso si è fatto più aggressivo, amplificato dai social sconfinando spesso in insulti sessisti, razzisti o addirittura in violenza fisica. Lo dimostra l’ultimo episodio avvenuto in Veneto, dove una giovane arbitra di basket, appena diciottenne, Alice Fornasier, è stata pesantemente insultata da una spettatrice durante una partita a Motta di Livenza. Ma episodi simili si ripetono ovunque, anche nei campionati giovanili, dove il rispetto per chi deve far osservare le regole sembra sgretolarsi sotto il peso di un tifo sempre più esasperato.
In un contesto così teso, il ruolo dell’arbitro va oltre la semplice applicazione del regolamento: è un test di nervi, una prova di gestione emotiva e psicologica che richiede sangue freddo e capacità di mediazione. Oggi più che mai, chi scende in campo con un fischietto deve saper affrontare non solo il gioco, ma anche le tensioni che lo circondano.
Daniele Orsato, vicentino di Recoaro, ex arbitro internazionale, oggi è il Commissario dello sviluppo e del talento arbitrale, figura istituita quest’anno per la prima volta. Una lunga carriera che lo ha anche visto ricoprire il ruolo di rappresentante degli arbitri italiani. «In quegli anni ho visto violenze di tutti i tipi – racconta – Ogni settimana mi capitava di incontrare arbitri che erano stati vittime di giocatori o dirigenti di società che li avevano aggrediti negli spogliatoi o di tifosi che li avevano aspettati fuori dallo stadio e tutto questo ancora oggi non riesco a digerirlo, quanta rabbia e quanta tristezza ascoltare i racconti di quei colleghi, provavo quasi un senso di impotenza».
Adesso c’è il Var, un alleato…..
«In serie A la contestazione del tifoso verso l’arbitro si è alleggerita, lo strumento attenua la rabbia. Diciamo che la vita è migliorata, c’è meno astio».
Ma nei campetti di periferia è ancora far west. E spesso ci sono i social a «preparare le contestazioni». Possiamo dire che nelle categorie inferiori ci vuole coraggio a fare l’arbitro?
«Nelle categorie inferiori l’ arbitro è un uomo solo e di questo dovrebbero tener conto tutti. Le parole nei campi di periferia sono macigni, le decisioni non sono facili. In quei campetti le offese verso un arbitro hanno un peso molto maggiore di quello che accade in serie A».
Lei cosa si sente di dire a quelle frange di tifosi che attaccano giovani arbitri?
«Pensate a quei ragazzi e a quelle ragazze come se fossero i vostri figli. Vi piacerebbe se qualcuno li insultasse pesantemente, con cattiveria e senza alcuna ragione? Se sugli spalti si partisse da questa semplice riflessione, forse si guarderebbe l’arbitro con occhi diversi, riconoscendone il ruolo e il valore invece di trasformarlo nel bersaglio di ogni frustrazione».
Pensa che scuola e famiglia dovrebbero fare di più per educare al rispetto dell’autorità arbitrale e dell’avversario?
«Penso che siano soprattutto le famiglie a doversi impegnare di più. Oggi, in molti casi, entrambi i genitori lavorano, e a volte le difficoltà economiche o la mancanza di tempo generano tensioni che, inevitabilmente, ricadono anche sui figli. Per questo è fondamentale stargli vicino, dedicare loro del tempo di qualità e, soprattutto, ascoltarli davvero. Faccio un esempio: invece di limitarsi a chiedere “Com’è andata a scuola?”, proviamo a domandare “Che cosa hai fatto oggi?”. Nel primo caso, la risposta sarà un veloce “Tutto bene”, nel secondo, invece, li spingeremo a raccontarsi, a condividere emozioni e vissuti. E proprio da qui passa il vero benessere dei ragazzi, perché educare al rispetto parte prima di tutto dall’attenzione che gli adulti sanno dare».
Servono provvedimenti più severi per chi prende di mira un arbitro?
«La nostra associazione e la Figc hanno fatto grandi passi avanti dal punto di vista delle sanzioni nei confronti di chi aggredisce un arbitro. Io credo che si debba arrivare a punire l’aggressione ad un direttore di gara come si fa per chi si scaglia contro un carabiniere. Ci sono giovani arbitri che vengono picchiati per motivi futili e questa per me è violenza criminale. Bisogna essere severi. Purtroppo episodi di violenza si verificano sempre più spesso nelle stazioni, nei centri storici delle città, nelle periferie….. Per questo è necessario che la famiglia torni ad essere un punto di riferimento importante».
Lei nel suo nuovo ruolo cosa insegna agli arbitri?
«Essenzialmente tre cose: che l’esperienza sul campo ti aiuta a prendere decisioni; che bisogna assumersi delle responsabilità ed oggi molti ragazzi sfuggono da questo aspetto; infine che c’è anche la possibilità di divertirsi e questo arriva dalle soddisfazioni».
Lei oggi lavora con arbitri di serie A, B e C. Ma è la serie A il grande palcoscenico dove si amplifica tutto. Nulla sfugge nel Grande Fratello della macchina del calcio. E questo comporta grandi responsabilità sia da parte di arbitri che di giocatori.
«Quando arbitravo dicevo sempre ai giocatori: mi raccomando, avete accesi i grandi riflettori, ogni azione e ogni sguardo vengono colti dalle telecamere. Ogni parola, ogni gesto, ogni protesta contro l’arbitro o un atteggiamento sbagliato da parte di un attore di quel grande spettacolo che è la partita di calcio non restano confinati al campo, ma hanno effetti a cascata. I tifosi li vedono, i ragazzi li imitano, e quel modo di comportarsi si diffonde ben oltre i novanta minuti, influenzando il rispetto per le regole e per chi le fa rispettare».
Adesso le partite come le guarda?
«Nel fine settimana ne seguo in presenza due o tre, altre 4/5 le guardo in tivù. E poi parlo con gli arbitri, mi confronto con loro sugli obiettivi, sulle cose da migliorare e anche sui loro punti di forza. Poi partecipo ai vari raduni e ogni giorno via web mi confronto con un arbitro per rivedere episodi e valutarli».
Tanti anni a fischiare falli, fuorigioco ed espulsioni. C’è stato un episodio da cartellino rosso nella sua vita?
«Sicuramente il momento più difficile è stato quando, dopo una partita, mi è stata assegnata una scorta. Sette giorni di sorveglianza per me e la mia famiglia. Un arbitro sa di dover affrontare contestazioni, fa parte del gioco, ma quella volta era diverso: non ero solo io al centro della tempesta, c’erano di mezzo mia moglie e i miei due bambini piccoli. Il calcio dovrebbe essere passione, competizione, ma mai paura. Ecco, queste cose non dovrebbero accadere nel mondo dello sport. Perché quando il dissenso supera il confine del campo e diventa minaccia, significa che abbiamo smarrito il senso più autentico del gioco».