la Repubblica, 12 marzo 2025
Georgia, l’ex presidente Saakashvili condannato a 9 anni
Una nuova condanna per Mikheil Saakashvili: nove anni per appropriazione indebita. L’ex presidente georgiano, recluso dal 2021, sta già scontando sei anni per abuso di potere. Un verdetto atteso, quello annunciato stamani dal tribunale di Tbilisi, che non mette però la parola fine ai guai giudiziari del controverso politico.
Sono due i processi penali ancora pendenti, che lo vedono imputato per la violenta repressione delle manifestazioni antigovernative del 2007 e per l’attraversamento illegale del confine avvenuto quattro anni fa, quando alla vigilia di elezioni locali, condannato in contumacia, fece un rocambolesco ritorno nel paese nascosto in un traghetto merci. Sperava in una sollevazione popolare. Per lui si sono spalancate invece le porte del carcere.
La nuova condanna non si somma alla precedente ma la estende di tre anni: Saakashvili non potrà essere liberato prima del 2030. Secondo l’accusa, tra il maggio del 2009 e il febbraio del 2013, l’allora capo dello Stato avrebbe speso oltre 9 milioni di lari di fondi pubblici – 3,3 milioni di dollari – per scopi personali: soggiorni in hotel di lusso e spa, interventi di chirurgia estetica, abiti, accessori firmati per sé, per i suoi alleati, familiari e amici. Accuse politicamente motivate secondo il leader cinquantasettenne, che ha partecipato alle udienze da remoto: dal 2022, a seguito di scioperi della fame che ne hanno compromesso la salute, è rinchiuso in una clinica.
“Lo stipendio del presidente della Georgia all’epoca consisteva in circa 3000-4000 lari. Con quei soldi – si è difeso in videocollegamento – non avrei potuto ospitare Donald Trump o Hillary Clinton”. Il presidente americano, ancora un semplice imprenditore, e l’allora segretaria di Stato visitarono l’ex repubblica dell’Urss nel 2012. Lo scorso anno la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa sulla condanna in contumacia e ha stabilito che le autorità locali hanno gestito il caso dell’ex presidente in conformità con gli standard europei.
Guida della rivoluzione delle Rose del 2003, che spazzò via il sistema stagnante e corrotto di Eduard Shevardnadze, già ministro degli Esteri sovietico con Mikhail Gorbaciov, “Misha” rappresenta oggi una figura estremamente divisiva, più popolare alle nostre latitudini che in patria. Artefice del completo riorientamento di Tbilisi verso l’occidente (le relazioni con l’Europa e gli Usa erano già state intensificate dal suo predecessore), ha intrapreso profonde riforme economiche e del settore pubblico che hanno totalmente mutato il volto del paese.
La democratizzazione non è andata però di pari passo: la tolleranza zero nei confronti del crimine, che ha liberato la Georgia dalla mafia dei ladri in legge, è risultata nella popolazione carceraria più grande del continente, vessata da abusi e torture istituzionalizzate, mentre ogni forma di dissenso era repressa con ferocia. E la rovinosa guerra del 2008 con la Russia, benché voluta e preparata da Mosca, all’indomani del summit di Bucarest che promise una futura membership Nato alla Georgia e all’Ucraina, è stata però innescata, questo è scritto nel report della missione condotta dall’Ue, da Tbilisi.
Nel 2012, il suo Movimento nazionale unito perde le elezioni contro una coalizione capeggiata dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, ancora adesso alle redini di un paese che sta tornando svelto alle maniere autoritarie. Presidente onorario di Sogno georgiano, il partito da lui fondato, ne è il leader informale quanto indiscusso, responsabile della svolta illiberale e antioccidentale di Tbilisi fatta di leggi copia-incolla dal manuale del Cremlino, e la cui retorica, seppur nell’assenza di relazioni diplomatiche, è sovrapponibile a quella di Mosca. Se perché ricattato da Vladimir Putin, come ipotizzano alcuni analisti, o solo per interessi convergenti, come ritengono altri, la sua guida sta riportando la Georgia nella sfera d’influenza della Russia, accusata dalle opposizioni di aver avuto un ruolo nelle contestate elezioni dello scorso ottobre.
Quella del 2012 è stata l’unica transizione di potere pacifica vista dalla Georgia dal crollo dell’Unione sovietica. Allora, l’Occidente vantava un’influenza considerevole sulla piccola repubblica. Oggi, in un contesto internazionale sconvolto dall’invasione su larga scala dell’Ucraina e dall’elezione di Donald Trump alla guida degli Usa, non è chiaro quanto Bruxelles possa fare la differenza né quanto Washington intenda farla. Saakashvili, seppur ridimensionato e recluso, resta leader di uno dei principali partiti di opposizione. Ma nessuno si aspetta che questa nuova condanna possa infiammare gli animi di quanti protestano da più di cento giorni contro l’autoritarismo di Sogno georgiano, per elezioni libere e un ritorno al cammino europeo. Vedono “Bidzina” e “Misha” come due facce della stessa medaglia. Loro ne vorrebbero una nuova di zecca.