la Repubblica, 12 marzo 2025
Quel patto medici-pompe funebri. “Si muore poco, perdiamo soldi”
Via Chiatamone, fine maggio di due anni fa. Negli uffici del distretto 24 dell’Asl Napoli 1 due dirigenti medici addetti ai servizi di medicina legale parlano di lavoro. «Sta morendo poca gente», dice la dottoressa Margherita Tartaglia, 61 anni. E il collega Luigi Rinaldi, 67 anni, chiosa: «Non fanno i morti, abbiamo perso un sacco di soldi». Sarà stata solo una battuta, ma la conversazione lascia pensare perché viene intercettata dai carabinieri del Nas durante l’inchiesta che ipotizza l’esistenza di un accordo illecito fra medici, impresari di pompe funebri, dipendenti comunali e mediatori. Un patto fondato sulla predisposizione in cambio di denaro, generalmente tra i 50 e i 70 euro, di certificati di morte ritenuti falsi perché redatti a tavolino e non presso il domicilio del defunto.
Tartaglia e Rinaldi sono ora accusati di essere stati insieme a un altro dirigente medico, Federico Amirante, di 64 anni, i promotori della presunta associazione configurata dai magistrati della quale farebbero parte ben 65 persone. I tre medici sono in cella per ordine del giudice Fabio Provvisier che ha accolto la richiesta del pm Luigi Landolfi, titolare delle indagini con il procuratore aggiunto Sergio Amato e il procuratore Nicola Gratteri. Sono in tutto 18 le persone raggiunte da ordinanza di custodia in carcere, 51 agli arresti domiciliari. Sono coinvolti a diverso titolo i rappresentanti di 33 imprese funebri. Nella ricostruzione degli investigatori, alla quale tutti gli indagati potranno replicare nei successivi passaggi del procedimento, gli addetti alle pompe funebri, dietro il pagamento di mazzette poi “addebitate” sul conto presentato ai clienti, ottenevano dai medici legali i certificati senza che venisse effettuata la visita domiciliare prevista dalla legge e, in caso di cremazione, effettuavano direttamente i prelievi del Dna prescritti dalla normativa. In questo modo le imprese potevano accelerare le pratiche per i funerali. Un sistema che, commenta il procuratore Gratteri, «serviva a fare le cose in modo più veloce, in modo falso. Nessuno si scomodava a fare il suo lavoro».
Tra i presunti intermediari figura anche una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie: l’ex consigliere di municipalità Salvatore Alajo, 50 anni, protagonista agli inizi degli anni Duemila nello scandalo dei falsi ciechi di Chiaia. Adesso è ai domiciliari perché accusato di aver fatto da intermediario tra Rinaldi e alcuni cittadini in un altro filone dell’inchiesta: quello sui certificati medici per il rilascio del contrassegno di parcheggio per invalidi. A Rinaldi il giudice contesta anche un episodio di «falso nel falso»: in cambio di 50 euro, oltre a stilare il certificato fasullo, avrebbe modificato il numero civico dell’indirizzo di un defunto per farlo rientrare nella competenza del suo distretto. In uno stesso giorno, domenica 12 febbraio 2023, la dottoressa Tartaglia incontrò in ufficio, quel giorno deserto, i referenti di quattro agenzie di pompe funebri muniti di certificati già compilati. «Lo sapevano tutti che non andavate a fare i morti», dice un collega a Rinaldi e Tartaglia. Per l’accusa, tra aprile e ottobre 2023 Tartaglia avrebbe intascato in cambio di falsi attestati 1100 euro, Rinaldi circa 5600 per i falsi certificati di morte e altri 1400 per i documenti destinati al rilascio del contrassegno disabili, mentre Amirante tra giugno e ottobre 2023 avrebbe ottenuto 880 euro. Il gip ha disposto gli arresti domiciliari anche nei confronti di tre dipendenti dell’ufficio stato civile del Comune, Leonardo De Napoli, Renato Forte, entrambi 65enni e Antimo Evangelista, di 63 anni, per il rilascio di autorizzazioni al trasporto delle salme. Ieri mattina, nel corso delle operazioni, i carabinieri del Nas hanno sequestrato 50mila euro e tre auto “per equivalente” nella disponibilità di medici, 10mila euro ad altri indagati e i kit per gli esami del Dna in possesso di dipendenti di pompe funebri.
L’inchiesta era partita dopo la denuncia sporta dal manager dell’Asl 1, Ciro Verdoliva, a seguito di una lettera anonima che accusava la dottoressa Tartaglia di assentarsi dal lavoro per svolgere attività privata in uno studio di medicina estetica. Nel filone sull’ipotesi di assenteismo sono agli arresti domiciliari per truffa altri due dirigenti medici (non coinvolti nel capitolo dei falsi certificati) il 69enne Bruno Genovese e Michele Romano, di 66 anni. Ora la parola passa alla difesa degli indagati. Dopo gli interrogatori, l’ordinanza potrà essere impugnata davanti al tribunale del Riesame.