La Stampa, 9 marzo 2025
Il popolo della Lega ai gazebo tra Ucraina e pace fiscale: “La nostra speranza è Trump”
«Buongiorno, buona festa della donna. Firma per la pace fiscale? E per la pace in Ucraina?». Intorno a mezzogiorno Laura Ravetto, deputata e responsabile Pari Opportunità della Lega, saltella davanti al gazebo montato all’ingresso del mercato di via Valvassori Peroni distribuendo volantini e invitando i passanti a sottoscrivere le proposte di Matteo Salvini. Idee che lo stesso Salvini rilancerà, poche ore dopo, da Bologna: no «all’invio di soldati italiani in Ucraina», no «al piano di riarmo europeo da 800 miliardi lanciato da Ursula von Der Leyen, perché non è una cosa che si inventa dalla sera alla mattina», no al presidente francese «perché non penso che sia un Macron qualunque a poter fermare la pace».
Sul tavolino del gazebo milanese ci sono mazzetti di mimose, un paio di copie del bestseller salviniano Controvento e qualche sasso fermacarte con appiccicato sopra l’adesivo della “Lega per Salvini premier”. Sulle cartoline che odorano ancora d’inchiostro c’è scritto «Soldati italiani in Ucraina? No, grazie», «Rottamazione definitiva delle cartelle esattoriali per milioni di italiani in buona fede». E poi: «Pene severe per chi obbliga donne e ragazze a indossare il burqa in luoghi pubblici», «Istituzione del reato per gli stupri di gruppo islamici».
"Ci interessano sia la pace che il fisco”
«Le persone sono interessate al concetto di pace sia per il fisco sia per il conflitto in Ucraina, che tra l’altro ha forti ripercussioni economiche sull’Europa a partire dalle bollette del gas – spiega Ravetto, tra un selfie e l’altro –. Noi capiamo che alla sinistra dia fastidio che ad avviare il percorso di pace sia un presidente repubblicano, ma la gente la pensa come noi e fa il tifo per Donald». A sentire Pino Vigorita, ex meccanico in pensione, c’è da crederle: «Speriamo che Trump trovi una soluzione, sennò qui vien fuori un’altra guerra mondiale».
Anita Pario, assistente sanitaria, furibonda per la sentenza sul caso Diciotti «perché siamo veramente nel mondo al contrario se dobbiamo essere noi a risarcire i migranti», ha una fiducia quasi messianica nel nuovo inquilino della Casa Bianca: «A me è sempre piaciuto. Ho delle amiche in America che mi dicono che qui ci raccontano un sacco di bugie su di lui. Lo prendono in giro per il parrucchino, ma è l’unico a dire le cose come stanno».
Qualcuno si ferma per curiosità, qualcuno tira dritto verso il pollo arrosto. «La risposta è buona, alle 10 appena abbiamo montato il banchetto si sono presentati in venti che ci seguono sui social – chiarisce Davide Rampi, consigliere leghista al Municipio 3 –. L’aria sta cambiando anche in una zona di sinistra come Lambrate. Se il sindaco Sala si ripresentasse, oggi, consegnerebbe la città al centrodestra». «Trump è un soffio di novità rispetto a Biden – ragiona Gianni Nizzi, la spilla della Lega appuntata sul bavero – Ricordiamoci che di solito a portare avanti le guerre sono i democratici».
L’obiettivo della mobilitazione
Sul foglio con i numeri delle carte di identità ci saranno sì e no cinquanta firme, ma è evidente che l’obiettivo di questa mobilitazione non è soltanto numerico. Questo weekend segna un passaggio nei rapporti fra Matteo Salvini e la premier Giorgia Meloni.
Se la presidente del Consiglio è costretta a muoversi come un funambolo sul filo teso del contesto internazionale, cercando di stare vicina a Trump ma allo stesso tempo di rimanere ancorata all’Europa che conta, il segretario della Lega punta tutto su un posizionamento netto alla sua destra. Un po’ come faceva Fratelli d’Italia all’epoca del governo Draghi. Con la differenza, non da poco, che mentre Meloni era all’opposizione, oggi Salvini è il numero due dell’esecutivo.
Si spiegano così il tifo senza se e senza ma per Elon Musk, gli attacchi frontali al presidente francese Emmanuel Macron, come pure l’insistere su una misura – la rottamazione delle cartelle esattoriali – per la quale difficilmente si potranno trovare le risorse.
E poi c’è il fronte interno alla Lega. I gazebo sono una risposta a chi, dentro il partito, ha criticato la linea super trumpiana del segretario: il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari e l’ex ministro Massimo Garavaglia, così come tutta l’ala nordista che di fronte all’ipotesi dazi più che ad applaudire Trump ha pensato ai conti delle piccole e medie imprese che li subirebbero. Salvini mostra i muscoli in vista del congresso federale del 5 e 6 aprile a Firenze (fissato tra l’altro nei giorni in cui il Veneto di Luca Zaia di solito si sposta in massa a Verona per il Vinitaly) e mette un’ipoteca sulla linea politica futura. Al di là delle tesi congressuali.
Parola d’ordine: semplificazione
La chiave dell’operazione, per ora più di propaganda che altro (anche se a breve il Parlamento dovrà votare sull’acquisto di venti nuovi F-35), sta tutta in una parola: semplificazione. Più il quadro si fa complesso, più Salvini sottrae complessità.
I gazebo servono anche a questo. «C’è una distanza enorme fra quello di cui parla la politica e quello che viviamo – dice ad esempio Licia, 71 anni, ex insegnante di italiano in una scuola per stranieri, che ha appena firmato pur dichiarando di non essere una sostenitrice del Carroccio-. Trump ha dei brutti modi di fare, ma ragiona come ragionano le persone in carne e ossa».
Anche la dottoressa Emanuela Trupia, arrivata da Mantova, insiste molto sul mantra «Non è Trump a essere cattivo, è che lo disegnano così». «Zelensky dovrebbe cercare la pace mentre quando era nello Studio ovale ha risposto aggressivamente – sostiene, dopo aver omaggiato i militanti con una torta sbrisolona-. Io quando andavo a parlare con i professori dei miei figli abbassavo sempre la testa, anche se magari avevo le mie ragioni».