Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  marzo 09 Domenica calendario

Bruno Conti: «Gli stornelli al Mundial, la lite con Cassano per il Papa. Ma il rimpianto è non aver capito Di Bartolomei»


«Il mio primo ricordo? Ho vissuto più di 50 anni di calcio, non è facile. Ma il primo pensiero va a mio padre, a quando sono stato preso alla Roma nel ’74 e a casa nostra è arrivata questa notizia», il racconto di Bruno Conti, che tra cinque giorni compirà 70 anni, a Repubblica. E ancora: «Aveva fatto sacrifici per crescere sette figli, quando gli dissi che mi avevano preso non stava più nella pelle. Era un taciturno, non è che parlasse tanto, ma negli occhi vedevo la sua gioia, la sua soddisfazione: suo figlio andava a giocare nella Roma».
Ha vinto il Mondiale ‘82 con l’Italia, in un torneo nel quale la Nazionale è stata in silenzio stampa: «Eravamo a Vigo, ma eravamo partiti da Alassio già con tante polemiche, ammazzavano Bearzot, non gli perdonavano di aver portato Paolo Rossi dopo la squalifica, e poi al posto di Pruzzo. C’era veramente quest’aria pesante, già dopo la prima partita con la Polonia, che avevamo pareggiato. Noi, per alleggerirla, ci facevamo una cantata. Gianpiero Marini suonava la chitarra molto bene, allora io e Ciccio Graziani ci cantavamo sopra e venivano fuori delle canzoni un po’ strane, capito? Sa, le osterie…».

Il rimpianto per Di Bartolomei
Conti è stato un grande calciatore, con un vizio: «Non è bello dirlo, ma fumo da quando ero ragazzino: siamo cresciuti in strada. Una volta era diverso, c’erano tanti calciatori con il vizio, sembrava normale. Poi, però, quando la vita ti presenta il conto e nascono problemi a livello medico, che vanno tanto ma proprio tanto a condizionare la tua salute, ci ripensi. Se mi capita di aver paura? Di certe cose preferisco non parlare. Per rispetto, perché ci sono persone che di salute stanno peggio di me».
Conti non poteva non ricordare l’amico Di Bartolomei: «Lo avevo conosciuto prima di arrivare alla Roma: un cugino di mia moglie mi aveva invitato a fare una partita di calcetto a Lavinio, vicino alla mia Nettuno, e c’erano lui, Bruno Giordano e Stefano Di Chiara: non stavo nella pelle, ero romanista da sempre, andavo a giocare una partita insieme a gente che già era la serie A. Ci siamo conosciuti lì, poi il giorno che sono arrivato in prima squadra è stato il primo a accogliermi. E poi è diventato il mio capitano, con tutto quello che abbiamo vissuto insieme: scudetto, finale di Coppa dei Campioni: veramente lo amo. L’ultima volta che l’ho visto? È il mio rammarico. Poco prima che succedesse quello che è successo avevo organizzato una partita al palazzetto dello sport con tutti gli amici dello scudetto per raccogliere fondi per un amico rimasto paralizzato. Venne anche Agostino: era sereno, si rideva, si scherzava, non c’è stato nulla che potesse far pensare, non ci ha fatto capire cosa aveva dentro. Mi è rimasto quel rimpianto».
«Cassano non voleva venire dal Papa»
Infine, sull’amicizia con Antonello Venditti, Conti ha concluso: «Mi invitò sul palco a un concerto a Nettuno. Negli anni da responsabile del settore giovanile, ogni volta che andavamo a fare una finale, mettevo sul pullman le canzoni di Antonello. La prima volta lo chiamai e c’era sotto la sua musica, portò fortuna, vincemmo. “Ogni volta che parti, mi devi telefonare”, mi disse. Questa cosa l’abbiamo portata avanti per anni. Io allenatore della Roma? Non l’ho allenata, l’ho traghettata. Nel 2005, il giorno del mio compleanno, ero a Cagliari a trovare i nipotini. Mi telefonò Rosella Sensi. E mi disse: “Abbiamo fatto una riunione e abbiamo pensato a te per guidare la Roma”. Ho capito cosa dovevo fare in quel momento. Ma è stato un anno particolare, ci siamo salvati a Bergamo con un gol di Cassano, avevamo davvero paura di retrocedere. E c’è un episodio. Quell’anno morì il Papa e invitarono tutta la squadra in Vaticano. Convocammo i giocatori per dirglielo. Intervenne Cassano: “Ma è obbligatorio venire?”. Io già un po’ arrabbiato, risposi: “Assolutamente no, se non vuoi venire, non vieni”. Dopo un po’ lui fa: “Però, se non vengo non vorrei che poi i giornalisti…”. Non vi posso dire quello che gli ho detto, l’ho rovesciato. Ma con Antonio c’è un affetto profondo, ci vogliamo ancora oggi un bene dell’anima».