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 2025  marzo 09 Domenica calendario

Siria, alawiti nel terrore: «Tra i killer ci sono i nostri vicini di casa. Vogliono ripulire la costa». Appello e silenzi del leader al Jolani

Come si fa a rispondere al telefono in mezzo a un massacro? I bambini intorno piangono, la voce è impastata e il cadavere del padre è sulla strada davanti a casa dove è stato ucciso sabato, ma Haydar risponde. «Forse non capisce, signor giornalista. In questo momento, proprio mentre parliamo, sono in corso altre stragi in tre villaggi vicini al mio: Alzoubar, al-Bshloulia, Talla». Ma lei, Haydar, è al sicuro? «Sicuro? Siamo scappati nella foresta, siamo in una baracca nascosta, ma possono trovarci da un momento all’altro. Nessun alawita in Siria sa se arriverà vivo a domani».
Haydar, un nome fittizio, ha 40 anni, una carriera a lavorare con gli stranieri, mai un contatto con la politica, neppure quando essere alawita poteva spianargli la strada. «Uccidono chiunque, senza interessarsi se fosse o meno del passato regime. Vogliono ripulire la costa dagli alawiti, questa è la realtà. Mio padre insegnava arabo, aveva 75 anni, è rimasto pensando che così anziano non gli avrebbero fatto niente e invece l’hanno trascinato fuori casa e l’hanno ucciso peggio di un cane».
Haydar l’ha visto, nascosto tra gli alberi, a meno di 300 metri, senza poter fare nulla. «Solo nel mio villaggio hanno ammazzato 35 persone comprese donne e bambini. Sono ancora tutti lì, nel loro sangue».
Chi sono gli assassini? La tremenda ipoteca sul futuro della Siria è che Haydar li conosce: sono i suoi vicini di casa. «Certo, tutti li conosciamo. Sono i sunniti che abitano nel villaggio accanto al nostro. Li incrociamo dal benzinaio, al supermercato, nei campi. Con loro ad ammazzarci ci sono anche dei jihadisti venuti da Idlib. Come faccio a saperlo? Sono stranieri, con gli occhi a mandorla. Li abbiamo sempre chiamati “Ivan” perché tra loro parlano russo».
Haydar sta parlando dei foreign fighter arrivati in Siria sin dal 2013, durante la guerra civile per combattere al-Assad. Sono ceceni, khazaki, uzbeki, afghani, tutti ex sovietici della Guerra Santa internazionale che avevano come nemico tanto la Russia, quanto l’Occidente quanto l’Iran e i suoi alleati giudicati miscredenti al pari dei cristiani. Non hanno nemmeno cambiato le uniformi. Usavano quelle mimetiche quando combattevano per lo Stato Islamico e le usano ora che dovrebbero difendere il nuovo Stato.
La transizione dalla dittatura alla «Siria di tutti» promessa dal nuovo presidente al-Jolani si sta schiantando contro una montagna di cadaveri.
Da Damasco il governo ammette «qualche vendetta indiscriminata nei confronti di esponenti del passato regime», ma nega la dimensione della strage. Gli alawiti che tremano per la loro vita parlano di pogrom, genocidio, pulizia etnica.
Da mercoledì le regioni costiere della Siria sono sconvolte dal terrore. Gli scontri sono cominciati con attacchi di ex soldati di Assad alle forze di sicurezza del nuovo governo e sono degenerati in una caccia all’alawita. Le organizzazioni umanitarie calcolano oltre mille morti civili. Tutti alawiti. Fonti locali alzano la cifra a 3-5mila. «Stanno ripulendo le strade dai cadaveri» dice una fonte del Corriere a Latakia, la principale città della regione. «Cercano di nascondere i loro crimini». Il governo sostiene che la situazione sta tornando sotto controllo, ma la telefonata ad Haydar di ieri alle 18 italiane dice il contrario. Il presidente Ahmed al-Sharaa/al-Jolani ha annunciato una commissione d’inchiesta indipendente formata da 7 giudici e ha lanciato un appello all’unità. «A Dio piacendo sapremo vivere assieme». Non una parola di condanna verso gli assassini.