il Giornale, 8 marzo 2025
"Riarmo, noi ci siamo. La Turchia nella Ue". L’offerta interessata del sultano Erdogan
Un’architettura di sicurezza sostenibile e deterrente per l’Unione europea è possibile solo con la partecipazione della Turchia. Questa la visione di Recep Tayyip Erdogan, nota in verità da tempo, che viene oggi ribadita dall’uomo forte del Bosforo con l’occasione della crisi in Ucraina, ma con un rilancio: il presidente turco prova a incassare il massimo risultato da questa partita geopolitica, chiedendo un riavvicinamento all’Ue alla voce adesione.
Parlando a un meeting online organizzato dall’Ue assieme ai leader di Canada, Norvegia, Islanda e Regno Unito, Erdogan ha definito «inspiegabile» che l’Ue escluda la Turchia dai programmi di approvvigionamento per la difesa, «considerando il sostegno della nostra industria della difesa all’Ucraina e i contributi del nostro settore privato, che non ha lasciato il Paese nonostante le condizioni di guerra». Ha puntualizzato che è «un requisito dei nostri interessi comuni che l’Ue modifica questa posizione», nella consapevolezza che dal punto di vista turco la sicurezza europea «non è solo una questione per gli Stati membri dell’Unione, ma riguarda tutti gli alleati europei».
Erdogan è pienamente conscio del cambiamento, progressivo e costante, del peso specifico turco semplicemente perché ne è stato la mente da 23 anni: non più solo player attivo in Libia, in Siria e sui tavoli diplomatici del passato (crisi del grano) e del presente (cessate il fuoco in Ucraina), ma soggetto destinato ad essere protagonista del domani, dal momento che il governo Trump II ha di fatto avviato una scomposizione del quadro complessivo, anche in Europa.
Quando Erdogan dice che «è nell’interesse di entrambe le parti adottare un approccio strategico e a lungo termine nelle relazioni tra la Turchia e l’Unione Europea» non si limita a chiedere a Bruxelles di aprire le sue porte in modo formale, ma traccia una nuova rete di alleanze che caratterizzeranno il futuro del continente. E lo fa in una veste forse ancora più audace rispetto al passato, dal momento che nel suo nuovo esecutivo ha voluto fortemente alla casella esteri quell’Hakan Fidan che, in altro ruolo, è stato il regista dell’operazione in Libia e che poche settimane fa ha supervisionato il cambio di regime in Siria.
Sull’Ucraina ha sostenuto nuovamente l’idea di un immediato cessate il fuoco, con riferimento agli attacchi nei cieli e in mare «come misura di rafforzamento della fiducia tra le parti» con l’appendice rappresentata da una nuova e decisiva forma di garanzia per la sicurezza della navigazione nel Mar Nero. Il punto di caduta è la trattativa sull’asse Mosca-Kiev per chiudere il conflitto, arando «un solido terreno diplomatico in cui entrambe le parti in conflitto siano sedute al tavolo per una pace giusta, duratura e degna».
Inoltre ha provveduto a rafforzare partnership di lungo periodo come quella sorta tra l’italiana Leonardo e Baykar, che hanno dato vita ad un polo di qualità per vincere la partita sul mercato europeo dei droni e in questo modo colmare uno degli storici ritardi europei, senza dimenticare l’affinità e l’interesse, non scontati, che ha mostrato verso il presidente del consiglio Giorgia Meloni.
Infine i numeri del suo esercito: la Turchia vanta il secondo più grande contingente in ambito Nato, dopo quello statunitense, grazie ad un milione di unità effettive, che ne fa assieme a Israele il soggetto più potente della macro regione a cavallo tra due quadranti strategici, come quello euromediterraneo e quello mediorientale. Per cui Ankara da oggi si aspetta che l’Unione europea «assuma ormai un atteggiamento strategico e lungimirante, e che di conseguenza i negoziati di adesione vengano riattivati al più presto».