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 2025  marzo 08 Sabato calendario

Per capire Trump, usiamo gli occhi degli americani

L’Europa si riarma. Il ciclone Trump ha prodotto i suoi primi effetti, e ne potranno venire altri. Grande è la confusione sotto il cielo della politica. E non meraviglia che traspaia in qualche commento un certo sollievo per una pronuncia della Corte Suprema Usa, vista come un primo colpo a Trump. Non è così. La questione aveva a oggetto l’ordinanza di un giudice distrettuale federale che imponeva al governo di effettuare pagamenti dovuti alle organizzazioni umanitarie impegnate all’estero e destinatarie di aiuti federali. La Corte suprema respinge la richiesta del governo federale di annullare l’ordinanza, ma con una pronuncia provvisoria. Una divided Court (5 a favore, 4 contro) chiede al giudice distrettuale di chiarire quali obblighi il governo deve soddisfare, tenendo in debito conto la fattibilità e i tempi necessari all’osservanza.
La stringatissima decisione di maggioranza è puramente procedurale. In sostanza, la Corte rimanda la palla al giudice distrettuale, sul quale cade adesso l’onere della dimostrazione. Se sarà insufficiente, la Corte potrà assumere una decisione diversa. E qui pesa la articolatissima opinione dissenziente, che invece è largamente fondata su argomenti costituzionalistici. In specie, si richiama l’immunità sovrana, essenzialmente un corollario del principio di separazione dei poteri. Si chiede icasticamente il giudice Alito, primo firmatario del dissent: “Può un singolo giudice distrettuale… avere il potere incontrollato di obbligare il governo degli Stati Uniti a pagare (e probabilmente perdere per sempre) due miliardi di dollari dei contribuenti? La risposta dovrebbe essere un enfatico no”.
Si vedrà. Ma colpisce che della pronuncia si trovano scarse tracce sui media americani. Si fanno piuttosto notare i commenti dei lettori che scagliano contro i giudici di nomina trumpiana confluiti nella maggioranza l’epiteto di traditori. Si coglie che i giornali anche di area liberal si preoccupano di altro, in specie della guerra sui dazi per l’effetto negativo di rallentamento dell’economia, perdita di posti di lavoro, e aumento dei prezzi. Analoga attenzione è data ai tagli di personale nell’amministrazione, o del poco welfare federale che c’è, per la conseguente diminuita capacità di spesa e quindi per l’effetto depressivo sul ciclo economico. Persino la deportazione forzata degli irregolari viene richiamata per il rischio di un aumento del costo del lavoro.
Un’idea del clima che si vive negli Usa si trae anche da un seminario ad Harvard, storico presidio del campo liberal, incentrato sulla domanda se ci sia oggi una crisi costituzionale nel paese (Harvard Law Today, 27 febbraio). Avremmo detto che una crisi, o almeno un grave malessere, c’è. Ma i relatori hanno invece negato che ci sia, e anzi qualcuno ha diffidato a non usare nemmeno la parola crisi. Piuttosto – si è detto – è un normale cambio di indirizzo politico dell’amministrazione che sopravviene dopo il voto popolare. Il punto è che, se si vuole per quanto possibile capire Trump e delineare uno scenario probabile di quel che sarà, bisogna guardarlo con gli occhi non degli europei, ma dei suoi cittadini/elettori. A loro non sembra ridicolo o pericoloso quando afferma che farà ricchi e felici gli abitanti della concupita Groenlandia, o vaneggia di un Gaza resort. Questo suggerisce che il primo vero stop per Trump potrebbe venire dalle elezioni di midterm, tra due anni, con la perdita di controllo del Congresso per l’insoddisfazione dei suoi elettori sulla gestione dell’economia. Non a caso, sui dazi Trump minaccia aumenti stellari, e li sospende il giorno dopo. Una sceneggiata. Ma intanto le Borse calano.
Anche assumendo lo scenario più favorevole di una sconfitta nel midterm – possibile ma assolutamente non certa – abbiamo due anni del migliore Trump. Saremmo vicini al voto politico, con un problema per Meloni. È risibile l’idea che riesca a pesare per un suo personale rapporto di simpatia con Trump. L’Europa è periferia nella geopolitica globale, e noi siamo periferia della periferia. Ma sarebbe un problema anche per le opposizioni. Che non riescono e probabilmente non riusciranno in un Parlamento esangue ad avere un ruolo significativo. Con il rivolgimento epocale in atto è anzi probabile che le nostre istituzioni si indeboliscano ulteriormente. Per questo penso – come ho proposto su queste pagine – che si debbano rafforzare gli strumenti di democrazia diretta. Sarebbe un buon progetto di riforme alternative a quelle di destra. Ma con la democrazia diretta fatalmente ci si conta. Non pochi si mostrano allergici, anche tra le opposizioni. Sarà bene a loro ricordare che l’ignavia – anche se abilmente dissimulata – è uno dei sette peccati capitali.