Avvenire, 7 marzo 2025
Le foto mai viste dell’ultimo don Camillo e il mistero delle pellicole perdute
Che fine hanno fatto le “pizze” con la pellicola a colori del sesto incompiuto film della saga di don Camillo? Nella speranza che il mistero sia finalmente svelato (sono andate distrutte o vengono segretamente custodite dai Lloyd’s di Londra nel caveaux di una banca svizzera?), un libro ci mostra le immagini del backstage (molte inedite) e racconta, attraverso la sceneggiatura originale, saggi e interviste ai protagonisti, quei quaranta minuti di Don Camillo e i giovani d’oggi girati con la regia del francese Christian-Jaque, sotto il sole cocente di Brescello dal 13 luglio all’11 agosto del 1970: sono spezzoni di celluloide (1.200 metri, in tutto) che, seppure non montati, avevano cominciato a dare corpo a una trama dove il manesco prete interpretato da Fernandel e l’impulsivo sindaco veterocomunista, Peppone-Gino Cervi si “confrontano” e si scontrano con le novità, che entrambi faticano ad accettare, portate dal Sessantotto e dal Concilio Vaticano II: i capelloni e la musica yé-yé (ci sono i Rokes che cantano Ma che colpa abbiamo noi…), un coadiutore ecclesiastico giovane e à la page come don Chichì (impersonato da Paolo Carlini), un nipote maoista (Giancarlo Giannini, allora ventottenne) che si innamora di Caterina (Graziella Granata), la nipote rivoluzionaria del vecchio parroco che parla e si confida con il Crocifisso.
E fu, quello, il set sul quale Fernand Joseph Désiré Contandin, in arte Fernandel, chiuse per sempre la sua gloriosa carriera: l’attore si spense infatti a Parigi il 26 febbraio del 1971, a 68 anni, per un tumore ai polmoni i cui primi segni si palesarono proprio in quegli afosissimi giorni trascorsi nel ridente paesino del Reggiano sulla riva destra del Po e sotto la luce dei riflettori che illuminavano i teatri di posa in interni e quelli en plein air. Si trattava dell’ultima avventura con i due scalmanati eroi della Bassa Padana scritta dalla mirabile penna di Giovannino Guareschi da Fontanelle di Roccabianca, scomparso due anni prima a Cervia per un infarto senza poter concludere il romanzo Don Camillo e don Chichì, l’ultimo capitolo del Mondo Piccolo (ci penseranno i figli Alberto e Carlotta a battere a macchina i testi dei racconti poi pubblicati sul settimanale “Oggi” e diventati subito dopo un libro della Rizzoli).
La storia che portò allo stop del film è nota: in una scena il pretone guareschiano doveva prendere in braccio la nipote “Cat” appena liberata dai carabinieri e portarla in canonica ma dopo un po’ non la regge più e stramazza a terra, proprio in mezzo alla piazza: i macchinisti accorrono e trovano Fernandel pallido in viso e con gli occhi chiusi. Era il 31 luglio. L’attore venne trasportato all’ospedale di Parma e a seguito di una prima diagnosi di pleurite decise di tornare a Marsiglia per un periodo di riposo e ulteriori accertamenti clinici. La lavorazione, tutta in presa diretta, si interruppe a tre settimane dalla fine e a nulla servirono i tentativi di sostituire il grande artista transalpino con la sua storica controfigura (Fortunato Arena) o con il figlio Franck, a sua volta attore e cantante il quale, se non altro fisicamente, gli assomigliava assai. Niente più ciak, insomma, e tutti a casa (ma il cumenda Angelo Rizzoli pagò lo stesso gli stipendi anche alle comparse). Si doveva sbaraccare anche perché Cervi non ne voleva proprio sapere di proseguire le riprese senza avere al suo fianco Fernand, amico e collega di tante “battaglie” (e scorpacciate di parmigiano), con il quale girò in quel periodo – ma in abiti civili – anche una serie di caroselli televisivi di un noto brandy dall’etichetta nera.
L’ultimo Don Camillo. Immagini e ricordi di un film perduto (Minimum Fax, pagine 144, euro 30,00) a cura di Alberto Anile, è anche un’indagine sul “fenomeno don Camillo”, prete di periferia che ama il suo gregge e parla con il Gesù inchiodato sul legno, ma che “non è un santo”, come sottolinea nel suo scritto monsignor Dario Edoardo Viganò, docente universitario, critico cinematografico e presidente della Fondazione Mac (Memorie Audiovisive del Cattolicesimo). Oltre ai contributi di Steve della Casa (“Peppone e compagni dopo il ’68”), Roberto Chiesi (“Christian-Jaque, ovvero la leggerezza del disincanto”), Marco Vanelli (“Peppone e don Camillo alle prese con la modernità”) e Luca Pallanch che chiosa sul mistero delle bobine perdute, si possono ammirare foto di scena (e dei momenti di pausa della troupe) che rendono almeno l’idea di quel film “abortito e sconosciuto”: decine di anni dopo le riprese, infatti, sono stati fortunosamente ritrovati centinaia di provini fotografici recuperati e riordinati poi dalla Cineteca Nazionale. Le decine di immagini pubblicate, che comprendono anche “non posati”, ricreano le atmosfere del film girato e quelle a cineprese spente: Cervi che si sventola con un ventaglio, il sorriso cavallino di Fernandel, i due amici attori che stappano il “lambrusco della pace”, il volto pensieroso di Giannini col cranio rasato sul treno che porta a fare la “naia”, Graziella Granata seduta su un dolly mentre si disseta con una bibita, Christian-Jaque che impartisce gli ordini sul set sgolandosi su un megafono. Interessante l’intervista ad Alberto Guareschi il quale ricorda: «Io e mia sorella, titolari dei diritti cinematografici dopo la morte di nostro padre eravamo stati testimoni di tutte le sue arrabbiature col produttore e coi registi durante la lavorazione dei cinque film della serie e quindi abbiamo posto a condizione di poter supervisionare la sceneggiatura proposta a Christian-Jaque con diritto di veto. Il primo script era di Benvenuti e De Bernardi e non l’abbiamo approvato e quando finalmente il produttore ci ha presentato una sceneggiatura e dei dialoghi fedeli al libro noi l’abbiamo approvata e il regista ha iniziato la lavorazione. Purtroppo erano passati diversi mesi e le condizioni di salute di Fernandel si erano nel frattempo aggravate. Alla luce dei fatti io penso che se ci fosse stata proposta subito l’ultima sceneggiatura (che poi avrebbe ripreso nel 1972 con qualche modifica Mario Camerini per il film di scarso successo con Gastone Moschin e Lionel Stander, ndr) non si sarebbe perso tempo e oggi avremmo un Don Camillo in più con Cervi e Fernandel!». Ça va sans dire.