la Repubblica, 8 marzo 2025
Intervista a Luigia Bosisio
C’è un prima e un dopo nella vita di Liù Bosisio. Prima e dopo Pina Fantozzi, l’indimenticabile moglie del ragionier Ugo che l’attrice milanese, ora ottantanovenne, ha interpretato nei primi due capitoli e in Superfantozzi. “Pina mi piaceva, quello che ne è seguito no – sentenzia – Ormai non ero più Liù, ero la moglie di Fantozzi”. Liù Bosisio invece è tanto altro. Un mondo: ha lavorato con grandi registi e attori del teatro e del cinema, in Italia e all’estero. Ha prestato la voce, per decenni, ad alcuni dei personaggi più amati dei cartoni animati come Marge Simpson, Spank, Doraemon e Charlie Brown.
Da cosa ha iniziato?
“Dal teatro: già all’asilo recitavo poesie, poi dopo qualche anno presi parte a spettacoli all’oratorio. Le commedie erano scritte per attori uomini e quindi noi bambine ci vestivamo da maschietti. E lì ho scoperto che la gente con me si divertiva”.
È stato il suo primo lavoro?
“No, compiuti i 16 anni i miei genitori volevano che continuassi gli studi ma io, che avevo un grande senso di responsabilità, chiesi al parroco se potesse aiutarmi a trovare un lavoro. E così mi ritrovai commessa in un piccolo negozio di radio e macchine per cucire”.
E il teatro?
“Il Teatro, con la t maiuscola. Una mattina trovai mia madre con un giornale in mano, entusiasta: era stata annunciata l’apertura delle iscrizioni per l’Accademia d’arte drammatica a Milano. Mi fiondai e dopo un provino mi presero, nonostante il limite d’età fosse di 17 anni e io ne avessi solo 16. Purtroppo non andò bene: mi bocciarono per ‘immaturità’”.
Cosa combinò?
“Le scene d’amore non riuscivo a recitarle, mi facevano ridere, era più forte di me. E così mi bocciarono. L’anno seguente però mi ripresentai”.
E come andò?
“Piansi e supplicai talmente tanto che alla fine, mossi a pietà, mi ripresero. Nella pausa tra il primo e il secondo anno di Accademia volevo andare a Roma. Ma non avendo del denaro ci andai in autostop”.
Coraggiosa.
“Un pomeriggio stavo seduta sulle scale di Trinità dei Monti, arrivò un amico e mi disse: ‘Guarda che Visconti cerca delle ragazze’. Andai subito al teatro Quirino dove mi fecero un provino: andò bene e mi presero. Ma i miei non mi diedero il permesso, perché ero minorenne e non si fidavano. Tornata a Milano ripresi gli studi all’Accademia. Cinque giorni dopo il saggio di fine anno già recitavo al teatro Manzoni di Milano con la compagnia di Romolo Costa”.
Al Nebbia club di Milano ha poi fatto cabaret.
“Sì, ed è stato divertente: fare bene satira politica non è da tutti. Eravamo quattro camerieri-attori: ci occupavamo anche del servizio ai tavoli. Se un cliente se ne fosse andato senza pagare il conto i responsabili eravamo noi. Ed è successo più di una volta”.
Nell’“Orlando furioso” di Luca Ronconi recitò con Mariangela Melato.
“Eravamo compagne di stanza. Quando parlava incantava tutti, aveva il dono del sorriso. Ricordo che eravamo sul balcone, a Spoleto, appoggiate alla ringhiera a chiacchierare e le dissi: ‘Tu avrai successo’. Lo stesso feci con Massimo Lopez, al Teatro Stabile di Genova, quando ancora lui non era conosciuto”.
Guarda nel futuro, insomma.
“Ho sempre avuto un sesto senso. Una volta ero al bar Brera a Milano, avevo 23 o 24 anni. Presi una forbice, mi girai verso un signore che non conoscevo e gli tagliai di netto la cravatta, proprio sotto al nodo. Non so perché lo feci, lui rimase perplesso ma non disse una parola. Dopo scoprii che gliel’aveva regalata mio marito poco prima di morire”.
Perse suo marito così giovane?
“Rimasi sola con un bimbo di due anni, ma preferirei non parlarne”.
Nel 1975 per la prima volta interpretò Pina Fantozzi.
“A me è piaciuto questo ruolo, ma non quello che è accaduto dopo averlo interpretato. Era un personaggio umano, per questo l’ho amato, ma Paolo Villaggio voleva che avessi baffi e verruche sul viso, pensi un po’”.
E i famosi capelli a schiaffo.
“Pina era comica suo malgrado, amava la figlia, la casa, il suo uomo pur conoscendone difetti e fragilità. Alcuni giornali femminili lo capirono: ‘Pina Fantozzi farà anche ridere, ma pure riflettere’”.
Che rapporto aveva con Villaggio sul set?
“Nessuno, si recitava e basta”.
E poi l’ha più rivisto?
“No, mai più. Anzi no, solo una volta, quando mi hanno invitata a una trasmissione in diretta con Raffaella Carrà. Ma mi feci pagare tanto”.
Quanto?
“Quattro milioni e mezzo di lire”.
Perché abbandonò il ruolo?
“Perché in Italia ti mettono il cappello in testa, ancora mi sento chiamare Pina per la strada. Non avrei più potuto fare teatro. A me non fa assolutamente piacere: ma come si fa a confondere la persona con il personaggio?”.
Se n’è pentita?
“No mai, non c’è denaro che tenga”.
Tra gli anni Settanta e Ottanta ha comunque recitato in film diretti da Bernardo Bertolucci, Dino Risi, Alberto Sordi, Steno. Perché allora ha abbandonato il grande schermo?
“Mi sono liberata. Era diventato un mestiere. Quando si lavora per vocazione e passione è molto diverso. Se la gioia, l’entusiasmo, non li trovi più, è meglio andar via”.
Perché si è data al doppiaggio?
“Fa parte del mio mestiere e l’ho sempre fatto tra una tournée e l’altra”.
Ha doppiato a lungo Marge Simpson.
“Dal 1992 al 2012. Iniziare a doppiarla fu facile: ascoltai la Marge originale e la imitai, mettendoci in più gentilezza e amore, cosa che a dire di molti, oggi nel personaggio, è completamente assente”.
Allora s’aspettava che il cartone animato avrebbe raggiunto un successo planetario?
“No, non pensavo che avrebbe avuto tutto questo successo. In realtà non penso mai a quello che verrà: se faccio una cosa è perché mi piace, poi spero che piaccia anche agli altri”.
Nel 2012 per i fan è stata dura non sentire più la sua voce.
“La società voleva riportare la paga a quella del 1992, cioè apportare una detrazione del 70 per cento. Io e Ilaria Stagni – la doppiatrice di Bart – ci rifiutammo ma avanzammo una controproposta: avremmo accettato il 30 per cento solo se il rimanente 70 fosse stato versato in beneficenza. La società rifiutò e allora ce ne andammo. Fummo sostituite”.
Ha doppiato anche Spank, Doraemon, Charlie Brown. In chi si riconosce?
“Spank: dargli una voce, che non aveva, è stato bellissimo. All’inizio avevamo un copione lunghissimo e non capivo chi dovessi doppiare, poi mi dissero che il cagnolino era il narratore. Trovai la cosa inverosimile, estremamente limitante per il povero Spank. Chiesi carta bianca e mi fu concessa: buttai il copione e iniziai a improvvisare in base a ciò che mi suggeriva l’immagine. Ciò che è amato in Spank è la spontaneità, impossibile se avessi seguito il copione alla lettera”.
Come mai lo ritiene simile a lei?
“È un coccolone, sono io da piccola. Purtroppo non ho avuto un’infanzia felice”.
Perché?
“Sono stata chiusa negli istituti, c’era la guerra e non avevo un padre. Sono cresciuta con tante lacune e ferite”.
Ora si dedica anche ad altre arti.
“Ho altro da fare e da dire: collage digitali molto belli, ceramiche e ho già scritto otto libri. Adesso sto correggendo la bozza di un volume che dovrà uscire tra non molto. Ha presente un dado con tante facce o un gioiello con tante sfaccettature? Io sono così. Non siamo piatti, siamo anche altro”.
Qual è il segreto per mantenersi così attiva?
“Vivo in campagna a Zagarolo, in provincia di Roma: amo gli alberi. Tengo sveglio il cervello per esempio con la lettura, la scrittura e anche qualche partita online a burraco. Seguo la politica in maniera forsennata, quasi maniacale. A volte mi trattano come una novantenne, ma io ho solo 89 anni (ride). Sa che a volte accendo la radio e se c’è musica mi metto a ballare? A 68 anni vinsi una gara di rock and roll a Mosca”.
Complimenti. E quest’anno è salita ancora una volta sul palco, a marzo, per uno spettacolo.
“Nel quale leggevo scritti e lettere delle partigiane. Emozionante tornare sul palco dopo quasi 40 anni. E poi gli applausi, calorosi e gratificanti. Bello”.
Cosa non ha mai fatto ma ha sempre sognato?
“Avrei voluto fare quello che fa Licia Colò: viaggiare parlando di Paesi diversi, animali, piante. Dev’essere un lavoro bellissimo”.