il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2025
Coppa del mondo stile Nfl: lo show non è più il calcio
Finale della Coppa del mondo, New York, 19 luglio 2026. Le due Nazionali sono rientrate negli spogliatoi dello stadio MetLife, quello dei Giants e dei Jets. Primo tempo combattuto. I tifosi sparsi per il pianeta sono impazienti: quanto ci mettono a riprendere il gioco? Mezz’ora? Ma dai! La pazienza ha un limite, e così il fisico dei calciatori. Se la Fifa ha ufficialmente deciso, per bocca del presidente Gianni Infantino, che la partita accoglierà nell’intervallo uno “storico evento musicale”, con star all’altezza dell’Half Time Show del Superbowl, non tutti ne saranno contenti. Vedi l’anno scorso a Miami, ultimo atto della Copa America, il test del minilive di Shakira a metà della sfida tra la sua Colombia e l’Argentina (che avrebbe vinto ai supplementari grazie a Lautaro). Alla vigilia, il Ct colombiano Nestor Lorenzo non aveva usato giri di parole: “Spero vi divertiate, Shakira è fantastica, ma vorrei restasse tutto come sempre. Una volta siamo ridiscesi in campo dopo 16 minuti e siamo stati sanzionati. Ora c’è uno show e usciremo solo dopo 20 minuti. I giocatori potrebbero raffreddarsi, e questo vale per entrambe le formazioni”. Per la performance, l’ex moglie di Piqué intascò un cachet (lo definirono “brutale”) di 2 milioni di dollari pagato dalla federazione, la Commebol: cantò 5 minuti, il resto del tempo fu speso tra montaggio e smontaggio del palco. Vaglielo a dire, alla Fifa.
Infantino ricorda che la finale è “il più grande evento sportivo del pianeta”, dunque perché non infilarci in mezzo un memorabile spettacolo rock, pop o rap? I Mondiali americani (si svolgeranno in Usa, Canada e Messico) già prevedono “l’occupazione” di Manhattan con concerti a Times Square nel weekend cruciale. Chissenefrega se gli aficionados a casa fremeranno, i campioni saranno esposti a infortuni muscolari o se il terreno di gioco dovesse trasformarsi in una groviera: l’Half Time del pallone è una miniera d’oro da picconare. Pubblico decuplicato rispetto al Super Bowl, che inchioda davanti alle tv “solo” 150 milioni di appassionati del football a stelle e strisce. Moltiplicate per dieci le cifre che seguono, comprenderete la logica della Fifa. La Nfl vanta un fatturato annuo di 15 miliardi di dollari. Uno spot di 30 secondi nella finale costa all’inserzionista fino a 8 milioni di dollari. Organizzare un Half Time Show è impresa da 10/12 milioni: li sborsa la lega della palla ovale, per gli artisti coinvolti il compenso è zero, il ritorno è la visibilità assoluta. Quest’anno si è esibito il rapper Kendrick Lamar, dietro c’era la fila di stelle disposte a un miniset gratis. Perché sfinirsi in tour quando ti bastano dieci minuti a tutta manetta, un megalive zippato con il best of, i ballerini, le coreografie, gli effetti e la magia di sparire prima che i campioni calpestino di nuovo l’erba? Come dimenticare gli Half Time che hanno fatto la storia, quelli di Prince, Michael Jackson, Madonna? O degli U2 che pochi mesi dopo l’11 settembre crearono un climax emozionale con la lista delle vittime degli attentati proiettati su un telone-grattacielo alle loro spalle? Così alla Fifa, pur consapevoli che questo sia un costume molto yankee, si sono convinti al gran passo: Infantino ha coinvolto nel ruolo di “consulenti” i Coldplay e la lobby artistico-politico-ambientalista di Global Citizen. Difficile ipotizzare che Chris Martin & C. non partecipino, in qualche modo, al megaintervallo. La band è britannica, però sufficientemente universale ed ecologista per veicolare messaggi condivisibili dalla maggioranza dei terrestri. Però neppure i Coldplay basterebbero: siamo a New York, chi tiri dentro per celebrare la capitale del mondo? Springsteen? O preferisci onorare tutta l’America che ospita la competizione, e allora Taylor Swift? Beyoncé? Nomi che indispettirebbero Trump e Musk: la Fifa e i suoi partner saranno costretti ad acrobazie imprenditorial-diplomatiche. Come sia, il puzzle è da comporre, i tecnici del marketing musicale dovranno pure studiare l’eventuale insofferenza dei calciofili per lo stop ipertrofico. Ma ormai è fatta.
Del resto, non abbiamo apprezzato reunion leggendarie nelle cerimonie delle Olimpiadi? L’obiezione resta: lì non c’erano atleti costretti a sfinirsi con il riscaldamento. Il business dell’Ultrasport non sarà mai più misericordioso: non è come cavarsela romanticamente con gli inni nazionali prima del fischio d’inizio. O come nella finalissima di Coppa Italia: porgi il microfono a un cantante e vai con Mameli, unplugged e a rimborso spese. Sperando di non sentire stecche sacrileghe.