Libero, 9 marzo 2025
Il centenario che ha visto una persona resuscitare
Signor Luigi Rizzi, bella questa foto sul comodino in cui ha le medaglie al petto.
«La farò mettere sulla lapide al cimitero».
Ne parla con disinvoltura: non è scaramantico?
«No, quando è il momento è il momento, c’è poco da fare».
Non teme la morte?
«Mé nó, io no. L’ho già incrociata tante volte, prima in guerra e poi quando lavoravo nel cimitero del paese. Sono abituato. Sa che ho anche visto anche una persona resuscitare?».
Scherza?
«Tutto vero».
Raccontiamo subito.
«Quando facevo il becchino, ogni tanto, mi pagavano pure per vegliare i morti a casa loro durante la notte. Una volta ero seduto a fianco della bara aperta e ad un certo punto ho sentito uno scossone: mi sono voltato e quel tizio si era svegliato».
Ma come è possibile?
«Eh, l’éra mia mórt, non era morto, evidentemente era solo in coma o qualcosa del genere. Avevano sbagliato: pensi che poi è campato altri 15 anni».
Lei che ha fatto quando l’ha visto alzarsi?
«Sono fuggito terrorizzato!».
Incredibile. Torniamo al presente: da quasi un anno è qui alla rsa Domus Edera di Fontanella. Come si trova?
«Mia màl, mica male. In questi giorni sono un po’ affaticato e sto a letto, ma ogni tanto mi faccio portare giù e mi piace sentire la musica».
Canta anche lei?
«Sì, soprattutto dopo un bicchiere di vino».
Meglio rosso o bianco?
«Rosso. A fine cena, invece, l’ideale è un grappino».
Le piacciono anche i superalcolici?
«Ostréga. Riscaldano».
E, nel suo caso, fanno anche vivere a lungo: ha appena compiuto 101 anni.
«Bella festa, mi hanno regalato pure una pergamena. Vede? C’è scritto che sono nato l’8 febbraio 1924 a Pumenengo, un paese qui vicino».
Torniamoci insieme, a quella data. E raccontiamo la sua famiglia.
«Papà Pietro fa il muratore, mamma Maria si arrangia con qualche lavoretto. Siamo sette fratelli, quattro maschi e tre femmine. Io sono il quarto».
Scuole?
«Elementari fino alla terza, poi a 10 anni inizio a lavorare perché non ci sono soldi».
Cosa fa?
«Vado nelle cascine per accudire le mucche e gli altri animali: in cambio mi ospitano facendomi dormire nel fienile e dandomi da mangiare».
Per quanto tempo?
«Fino a quando mi arruolo, a 18 anni: la mia è l’ultima classe a essere chiamata alle armi. Scopro che devo partire leggendolo sul muro».
In che senso? Non le arriva la cartolina?
«Mettono un avviso pubblico in strada, in cui viene spiegato che un certo giorno a una certa ora bisogna presentarsi in caserma. Io vado e mi assegnano alla fanteria, reggimento a Trieste».
La spediscono subito al fronte?
«No, perché l’8 settembre 1943 cambia tutto».
È il giorno dell’armistizio.
«Quella sera, a sorpresa, suona l’allarme per la fine della guerra. Una confusione, tutti ballano e brindano. Ma il comandante spegne la musica e urla: “Ragazzi dovete piangere, non cantare! È tutto falso”».
E come reagite?
«Scappiamo, ma una volta fuori dalla caserma non sappiamo dove andare. Vedo una nave, ci salgo a caso senza sapere la destinazione, ma poco prima della partenza ci ripenso e torno a terra: lei salpa e dopo 200 metri viene affondata da un colpo di cannone».
Urca, che fortuna.
«Insomma».
Perché?
«Fuggiamo lungo la costa e dopo 20 km arriviamo in una stazione, dove troviamo i tedeschi che ci aspettano. E diventiamo loro prigionieri. Ci portano a Vicenza, poi altro viaggio verso la Germania».
Finite in un lager?
«Sì, non ricordo quale: siamo in 20 mila e ci danno una patata al giorno per 18 giorni. Poi ci smistano in campi di lavoro».
Lei cosa fa?
«Inizialmente devo creare i fossi anticarro, scavando per tre metri di profondità a forma di scodella. Ma è tutto inutile: quando arrivano gli americani mettono nel buco un carro armato e ci passano sopra».
Poi?
«Vado in miniera ed è ancora peggio».
Cioè?
«Ci danno una lampada rossa così tutti capiscono che siamo prigionieri e ci fanno lavorare fino allo sfinimento: stiamo sottoterra per 12 ore senza mangiare e riempiamo 200 vagoni di carbone al giorno».
Vi trattano male?
«Una volta, finito di lavorare, per farmi “guadagnare” la patata che mi spetta per cena mi obbligano a cantare per due ore Rosamunda. Le guardie camminano in mezzo alle file e se trovano qualcuno che non canta lo picchiano».
A proposito di cibo, come fate a sopravvivere?
«Io rubo ovunque. Per colpa mia, però, una volta muore un prigioniero mio coscritto».
Come mai?
«Sto prendendo del pane di nascosto, le guardie sentono rumore e arrivano. Me ne accorgo in tempo e mi infilo nell’unico letto vuoto dello stanzone, quello appena lasciato libero da un altro italiano che è andato in bagno. I nazisti, trovando quel poveraccio in piedi e tutti gli altri posti occupati, pensano che sia il ladro e lo ammazzano».
Patate e pane. Non mangiate mai altro?
«Gatti. Una sera uccido quello dei tedeschi, ma loro si accorgono che non c’è più e vengono a cercarlo da noi: se lo trovano sono finito. Per fortuna riesco a nasconderlo nella botola del sottotetto della baracca. E mi salvo».
Che rischio…
«Ma faccio anche di peggio. Una volta litigo e mi mettono in punizione su un fienile per una settimana, dandomi da mangiare solo una patata al giorno. C’è un nazista che viene a portarmela e mi sputa sempre addosso, insultandomi. Dopo un po’ non ce la faccio più, sono al limite e la prima volta che restiamo soli pum, gli do una picconata, poi un’altra e un’altra ancora fino a ucciderlo: il cadavero lo abbandono su un marciapiede e nessuno mi scopre. Poco prima della liberazione, invece, arrivo a un passo dalla morte...».
Raccontiamo.
«Nel lager in cui sono rinchiuso sappiamo dell’esistenza di docce particolari: i prigionieri che vengono scelti a caso e portati là, poi, non tornano mai indietro».
Sono camere a gas?
«Sì e un giorno tra i 300 selezionati ci sono pure io. Ci fanno spogliare nudi e quando entriamo capisco che non è un bagno: lo stanzone piastrellato fino al soffitto non ha rubinetti né docce. Penso: “È finita”».
Invece?
«Arriva un aereo che sgancia una bomba, le guardie spalancano le porte per scappare e noi ne approfittiamo: fuggiamo nei boschi e andiamo incontro agli americani, che sono sempre più vicini».
Li raggiungete?
«No, ma strisciando nelle trincee troviamo una scala che porta in un bunker sotterraneo. Ci ripariamo lì e restiamo bloccati per sette giorni».
Perché?
«Da un lato del boschetto ci sono gli americani, dall’altro i tedeschi: si spara senza sosta giorno e notte e su un albero, proprio sopra l’uscita, c’è un crucco pronto a colpirci».
Come sopravvivete?
«Non abbiamo cibo né acqua: col macinino del caffè tritiamo il granoturco e mangiamo la farina cruda. Quando siamo al limite, per fortuna, la situazione fuori si calma e usciamo: gli americani hanno accerchiato i tedeschi e siamo salvi».
Come è il ritorno in Italia?
«Avventuroso. Gli americani ci portano a Parigi e siamo talmente debilitati che non riusciamo a salire i gradini del comando. Però abbiamo da mangiare e bere, caffè, cioccolato e ci riprendiamo. Poi, dopo sette mesi, torniamo a casa».
Grande accoglienza?
«Al mio arrivo a Pumenengo fanno tutti festa, ma c’è subito il problema di trovare lavoro. Faccio domanda per diventare becchino e, dopo un po’ di attesa, mi prendono».
Inizia la sua seconda vita.
«Il lavoro è ben pagato, sto bene. E trovo anche moglie: è Lina, che ha 5 anni più di me».
Dove vi conoscete?
«Al cimitero, ovvio. Ci fidanziamo e ci sposiamo nel ’60».
Viaggio di nozze?
«A Milano, andata e ritorno in giornata».
Fino a quanti anni ha lavorato come becchino?
«Poco tempo fa. Dopo la pensione andavo comunque al cimitero per aiutare i colleghi: lì ci ho passato gran parte della mia vita. Pensi che a volte ho anche dormito tra le bare».
Scusi?
«Capitava di fare una pennica, soprattutto se avevo bevuto un bicchierino: mi sdraiavo nei loculi vuoti e riposavo».
Come mai ride?
«Una volta, mentre dormicchio, passa un signore che cerca la tomba di un parente. Parla da solo, ad alta voce: “Ma dove sarà sepolto Pietro che non lo trovo?”. Lo sento e allungo il braccio da dentro il loculo: “Deve andare di là a destra”. Immagini la sua reazione, quasi gli viene un infarto».
Meraviglioso. Luigi, ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?
«Pòta, andavo in chiesa. Poi una volta, portando una bandiera, sono stato male e non ci sono più andato».
2) Cosa pensa dei giovani?
«Non si sanno divertire anche se hanno tutto».
3) Ha frequentato molte donne nella vita?
«Eh, un po’ di signorine le ho conquistate».
4) Lei non ha mai avuto figli: le sarebbe piaciuto diventare papà?
«Con mia moglie ci abbiamo provato, ma quando l’ho sposata aveva già 40 anni».
5) A 101 anni ha ancora un sogno?
«Sémper, sempre. Mi piacerebbe fare il cuoco o il ballerino».