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 2025  marzo 06 Giovedì calendario

Telefonata Meloni-Trump: tutti i no del presidente Usa

La telefonata di sabato scorso tra Giorgia Meloni e Donald Trump non è andata bene. È quanto la stessa premier ha riferito ad alcuni collaboratori. Una conversazione franca, secca, dedicata all’Ucraina e ai negoziati di pace, che ha permesso alla premier di avere conferma delle volontà e del comportamento deciso, a tratti spietato, del presidente americano.
Ritornare a quella telefonata aiuta a capire anche come Meloni siederà oggi al tavolo del Consiglio europeo straordinario: con un governo spaccato alle sue spalle, certo, ma anche con poche certezze, qualche risultato già ottenuto (scorporo delle spese della Difesa dal calcolo Deficit/Pil), molti dubbi, qualcuno ancora su cui lavorare (l’impatto sul debito degli investimenti militari) e qualche piccola speranza di riavvicinare Trump e i vertici dell’Unione europea.
La premier dirà come la pensa: vanno bene gli accordi sul riarmo europeo, ma senza abbandonare la Nato. Mentre si è già detta poco favorevole sulla copertura nucleare offerta a tutta l’Unione da Emmanuel Macron: «Perché confermerebbe il disimpegno Usa».
In questi quattro giorni trascorsi dal colloquio telefonico non ci sono state ricostruzioni di quanto i due leader si sono detti, solo pochi accenni frutto di un comunicato privo di contenuti, pubblicato da Palazzo Chigi a tarda sera di sabato, e l’unica battuta di Meloni, l’indomani, al termine del vertice di Londra: «Non entro mai nei dettagli dei colloqui telefonici. Ma posso assicurarvi che quello che dico in pubblico lo dico anche in privato». La premier elude così la domanda, confermando, però, due elementi: che la telefonata non ha avuto una conclusione esaltante e spendibile, e che ha provato a convincere il suo ostico interlocutore con argomentazioni che poi avrebbe effettivamente esposto in modo aperto.
Su diversi punti Meloni si è sentita rispondere un’infilata di no. Ha chiesto a Trump di prendere parte a un vertice Europa-Stati Uniti su Kiev, come proposto dalla leader, per superare il formato ristretto che ha caratterizzato le riunioni di Macron e Keir Starmer, organizzate in risposta alla brutale esclusione dell’Unione e dell’Ucraina dal tavolo delle trattative Usa-Russia. Meloni è convinta che solo così, con l’Europa compatta e legata al patto atlantico con Washington, si preserverebbe una forza negoziale. Avrebbe voluto il sostegno del presidente e invece: la risposta di Trump è stata da negoziatore implacabile, come Meloni stessa ha ammesso una volta chiusa la telefonata. Le divisioni dell’Europa – ha detto il capo della Casa Bianca – sono fatti dell’Europa, non è interesse americano fare la prima mossa. Accorciare le distanze con Bruxelles vorrebbe dire preparare il terreno di un accordo che farebbe rientrare l’Ue tra i protagonisti. E, secondo Meloni, è proprio questo quello che Trump teme possa scatenare un irrigidimento di Vladimir Putin. Soprattutto se dovesse nascere su iniziativa americana. Inoltre, è ormai evidente che al leader Usa, come all’autocrate russo, non dispiace l’idea di un’Europa frantumata, e dunque, più debole.
Meloni ha comunque concluso la telefonata con l’impressione che qualche margine per tenere in vita il confronto, Trump lo abbia lasciato. Ma a una condizione: che la proposta parta da Bruxelles. Ecco perché ieri la premier ha accolto con soddisfazione che i vertici Ue abbiano fatto filtrare da “fonti ufficiali” di «essere pronti a un summit Ue-Usa, e di considerare utile la proposta» di Meloni: «Vedremo – aggiungono – quando ci saranno le condizioni, in particolare da parte americana».
La strategia per tentare di cucire su di sé un ruolo di mediatrice si fonda su due proposte: la prima è il vertice euroatlantico, la seconda è l’ideazione di un ombrello protettivo per l’Ucraina senza il suo ingresso nella Nato: Trump non la vuole, quindi il tema per i prossimi quattro anni di mandato – a meno di ripensamenti – è fuori discussione. Meloni ha provato a sondarlo sulla sua idea, di una forma adattabile a Kiev di articolo 5, che impone ai Paesi membri di intervenire in caso di aggressione anche a uno solo di loro, e di nuovo ha ricevuto un no dal leader repubblicano. Ma è un no in cui dice di aver intravisto una crepa: «Trump fa sempre così – confessa – poi si siede a trattare e in una seconda fase negoziale concede qualcosa».
Meloni cerca una possibile convivenza con la nuova amministrazione Usa. Se cambiano le priorità americane cambiano gli equilibri: qualcosa perde Putin e qualcosa perde Volodymyr Zelensky. È ormai probabile che il secondo perderà di più. Meloni non può mollarlo, perché manifesterebbe un’incoerenza enorme dopo averlo sostenuto convintamente per tre anni. Per questo, il cedimento del presidente ucraino, che ha accettato i termini americani dell’accordo sulle terre rare, in qualche modo l’aiuta.
A complicarle il lavoro ci pensano, invece, le divisioni della sua maggioranza. Le perplessità sugli effetti che Rearm Europe, il piano di Ursula von der Leyen, può avere sul debito italiano sono anche quelle della premier. Ecco perché da Palazzo Chigi considerano «ragionevoli» le critiche del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che mette in guardia da una proposta di investimenti «fatta in fretta e in furia», e dal rischio di ripetere gli «errori clamorosi» avvenuti durante il Covid. Va detto che Giorgetti parlava in un contesto di partito, un convegno della Lega, dunque, come spesso gli accade, cerca con grandi acrobazie di non sconfessare la linea ultra-trumpiana del segretario Matteo Salvini, anche sui dazi. Nonostante un vertice a tre a Palazzo Chigi, i leader e vicepremier hanno continuato a dire come la pensano, uno contro l’altro. Il leghista è contro Von der Leyen: «Il suo piano non piace agli italiani. Possiamo investire di più in difesa senza indebitarci». E l’azzurro Antonio Tajani contro Salvini: «Il quadro del piano va bene. Questo non è un governo anti-europeista. La linea la decide Meloni con me».