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 2025  marzo 06 Giovedì calendario

Dazi auto, la frenata: congelati per un mese. Telefonata Trump-Elkann

Un mese di tempo per trovare piani alternativi e muovere la produzione negli Stati Uniti. Il presidente statunitense Trump rallenta l’entrata in vigore delle tariffe per il settore dell’auto e viene incontro alle richieste delle Big Three di Detroit. Martedì sera c’è stato un colloquio con i vertici di Stellantis (John Elkann) Ford (Jim Farley) e General Motors (Mary Barra) e la Casa Bianca e ieri la portavoce del presidente Usa, Karoline Leavitt, ha annunciato la sospensione di «dazi per ogni auto nell’area di libero scambio USMCA». La versione dell’Amministrazione Usa è che sono state le tre società a chiedere un confronto, «hanno avanzato la richiesta e il presidente è contento di esaudirle, quindi un mese di esenzione», la spiegazione di Leavitt che ha aggiunto che la motivazione è quella di non creare loro uno svantaggio economico.
La notizia dell’allentamento della presa sull’industria delle quattro ruote è stata accolta positivamente a Wall Street, il Dow Jones è rimbalzato di 600 punti, tutti i listini hanno virato in territorio ampiamente positivo trascinati dai titoli delle Big Three, fra le quali Stellantis: a due ore dalla chiusura delle contrattazioni registrava oltre il 9%, GM il 4% e Ford quasi il 5%.
Gli scambi nell’area USMCA legate all’auto rappresentano il 22% del totale. Secondo le proiezioni di JP Morgan i costi dei dazi doganali avrebbero procurato un aumento medio del costo delle auto di 3100 dollari, con picchi di 10mila per quei brand impossibilitati a usare linee di produzione e supply chain solo statunitensi.
Il presidente Trump ha fatto sapere di essere aperto a ulteriori esenzioni. Anche se lo scontro con il Canada resta vivacissimo. Ieri il leader Usa ha avuto una conversazione telefonica durata 50 minuti con il premier Justin Trudeau conclusasi, in maniera «un po’ amichevole». Non il linguaggio che prelude a distensioni.
E infatti Washington è tornata a ribadire che gli sforzi canadesi nel contrasto al narcotraffico e soprattutto all’ingresso di Fentanyl sono aumentati ma restano lontani dalla sufficienza. Le tariffe, al 25% restano quindi in vigore. Sono dazi legati, è da sottolineare, a immigrazione e Fentanyl, e sono ben diversi da quelli reciproci previsti per il 2 aprile che coinvolgono anche gli europei.
Trump ha punzecchiato Trudeau accusandolo di usare la leva delle tariffe per restare al potere. Il premier liberale è infatti dimissionario dal 6 gennaio. Il 20 ottobre ci saranno le elezioni. «È un premier agli ultimi passi dice cose ridicole cui non vale la pena rispondere», aveva commentato aspro Lutnick con i reporter al Congresso martedì sera. Trudeau da parte sua non ha allentato la presa. Benché si negozi ancora con gli Usa, ha confermato che le tariffe canadesi di rappresaglia non saranno tolte fintanto Washington non leverà tutte le sue. Attualmente l’America colpisce commerci per un valore di 250 miliardi di dollari (cui sono da sottrarsi per un mese 81 miliardi legati ad auto e indotto); il controvalore canadese è di 20,8 miliardi. Ottawa ha messo nel mirino beni classici del Made in Usa come il whiskey e i jeans.
La diatriba è arrivata alla WTO (Organizzazione mondiale per il commercio) dove è stato aperto un contenzioso. Nello stesso foro è approdato anche il ricorso dei cinesi, i cui prodotti sono soggetti a balzelli del 20%. Intanto nel discorso al Congresso riunite in plenaria martedì sera, Trump ha rilanciato la sua politica ribadendo la predilizione per le tariffe, «parola bellissima», ma riconoscendo che ci sarà una «piccola perturbazione» a causa dei dazi. Il riferimento è all’aumento dei prezzi, probabile in molti settori (si calcola almeno 20 centesimi in più ad esempio sulla benzina). «Ma questi innalzamenti non devono essere considerati inflazione», ha spiegato Lutnick, invitando a guardare a un macro-scenario che porterà nelle casse del governo federale soldi per contrastare deficit e debito e consentire ulteriori ribassi delle tasse.