Corriere della Sera, 6 marzo 2025
Chi mette i soldi per la Difesa e chi i soldati per un’eventuale guerra?
L’invasione russa dell’Ucraina scattata tre anni fa più gli attacchi a Israele cominciati il 7 ottobre 2023 e poi seguiti dalle risposte dello Stato ebraico hanno reso attuali domande del Novecento. Se le scosse ad assetti geopolitici continueranno, chi difenderà l’Europa? Con quali mezzi? La presidenza degli Stati Uniti in mano a Donald Trump ripropone gli interrogativi in maniera drastica. Era stato Trump a minacciare di lasciare soli di fronte alla Russia, se attaccati da questa, gli alleati europei restii ad aumentare le spese per la difesa. L’opposto rispetto alla regola dei tre moschettieri «uno per tutti, tutti per uno» sulla quale si fonda l’Alleanza Atlantica, sancita con altre parole dall’articolo 5 del Trattato di Washington. Al momento risultano circa 40 mila le persone che per la Nato vigilano sul versante orientale dell’Alleanza, sia da vicino sia da lontano. Non facile contarle per Paese. Battaglioni e mezzi vengono impiegati con rotazioni e aggiornamenti dei piani. L’Alleanza ha «in alta prontezza operativa» 500 mila persone. È la somma di quanti sono tenuti a far fronte a qualsiasi emergenza tra forze di terra, di mare, aeree, addetti al digitale. Insomma, dai soldati ai controllori di volo, dai sommergibilisti al personale per la logistica e così via.
Quanti uomini e donne servirebbero per vigilare su un eventuale «cessate il fuoco» in Ucraina? Impossibile saperlo finché non sarà chiaro se a essere schierate potranno essere forze di interposizione per tenere separati ucraini e russi o unità mandate a consolidare le difese ucraine dietro le linee. Né si sa, e ha rilievo, che cosa gli Stati Uniti garantirebbero per protezioni aeree, missilistiche, navali. Che la sicurezza del Paese non dipenda esclusivamente da truppe lo segnala la geografia. L’Ucraina ha 1.940 chilometri di confine con la Russia, oltre 1.100 con la Bielorussia. Quasi 2.800 chilometri le coste. Le certezze consistono nel diffuso riconoscimento di una necessità: le spese dei Paesi europei per la difesa vanno aumentate. Nel prossimo vertice dell’Alleanza, in giugno all’Aja, i capi di Stato e di governo ridefiniranno l’obiettivo concordato nel 2014, destinare a militari e armi l’equivalente del 2% del rispettivo Prodotto interno lordo. Si dovrà tendere al più presto a oltre il 2% e, probabilmente, al 3% o più entro il 2030. Trump ha manifestato l’intenzione di far salire le spese degli alleati al 5%, una quota non toccata neppure dal suo Paese. Al di là della percentuale, conta la direzione di marcia.
Qualsiasi sviluppo di una difesa europea non può prescindere da quanto oggi fa la più vasta alleanza politico-militare della storia, la Nato. Allora è bene tener presente che dei suoi 32 Stati membri erano 23, a fine 2024, i Paesi già sopra la soglia del 2%. Sedici, tra i 23, gli Stati che aderiscono anche alla Ue: dalla Polonia con il 4,12% alla Slovacchia con il 2% passando per la Grecia con il 3,08%. Fuori dal perimetro l’Italia. Nel 2024 eravamo all’1,54% del Pil stando ai criteri di calcolo italiani, all’1,49% in base a quelli dell’Alleanza.
La ritrosia verso l’aumento delle spese militari – il 2% fu concordato nel 2014 dagli Stati e dopo mai sconfessato da governi di centro-sinistra e centro-destra – ha impedito nel nostro Paese un dibattito su come, in quali modi occorrerebbe spendere di più per stare più sicuri. «Il discorso del 2%, 3% o 4% è senza senso», dice per esempio uno studioso di certa collocazione atlantica, Stefano Silvestri, autore con Adolfo Battaglia di Guerra in Europa, libro edito da Castelvecchi. «Indubbio che dobbiamo spendere di più, in particolare noi italiani. Ma come si fa a definire un obiettivo così senza decidere per fare cosa?», domanda Silvestri.
L’invasione dell’Ucraina ha spinto già a maggiori uscite. L’anno scorso la spesa degli Stati dell’Ue per la difesa è salita a 326 miliardi di euro, l’1,9% del Pil dell’Unione. Rispetto al 2001, un incremento complessivo di oltre il 30%. Purtroppo, ha sottolineato sul periodo giugno 2022-giugno 2023 il rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, il 78% del danaro è andato a fornitori esterni all’Ue. Il 63% agli Stati Uniti. L’ex presidente della Banca centrale europea ha consigliato di rafforzare e coordinare invece acquisti in Europa. Nel Consiglio europeo straordinario di oggi, 6 marzo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen deve entrare più nei dettagli sulle soluzioni possibili per nuove forme di finanziamento: emissioni di titoli di debito, allentamenti dei vincoli ai deficit nazionali o altro.
«La Nato ha creato tra i militari una cultura comune, capacità di lavorare insieme», fa notare Francesco Talò, già rappresentante permanente dell’Italia presso l’Alleanza. «Nella Ue attuale non avremo mai una difesa europea. Ciò che si può fare è che un certo numero di Paesi si dia un obiettivo comune, come contribuire a proteggere l’Ucraina, e costituisca per quello scopo uno Stato maggiore multilaterale», sostiene Silvestri. Partendo da un nucleo. Per poi sviluppare il progetto su basi meno ipotetiche.