Corriere della Sera, 5 marzo 2025
Intervista a Elisabetta Villaggio
«Sarà stata la vegetazione lussureggiante, il fatto che l’isola fosse sì in Europa, ma in una posizione particolare, in mezzo all’Atlantico e di fronte al Marocco. Sta di fatto che a Madeira la principessa Sissi si sentiva più libera, avvertiva meno le costrizioni che subiva a corte, in Austria, e il rapporto soffocante con la suocera. E così, pare che lì avesse iniziato a mangiare un pochino di più e a vestirsi con abiti più comodi, come era stata abituata da giovane nella sua Baviera». C’è anche l’imperatrice, oltre che Cristoforo Colombo, Churchill e tanti altri personaggi della storia, tra i protagonisti dei 15 racconti del nuovo libro di Elisabetta Villaggio, che narra la storia dell’isola di Madeira, da quando, nel 1400, i portoghesi la scoprirono fino a oggi. Autrice, scrittrice, regista ma anche consulente per alcuni programmi Rai, Mediaset e La7 – ad esempio Il Testimone di Giancarlo Nicotra —. E poi, insegnante di Cinema alla Rome University of Fine Arts e alla Dam Academy a Roma, torna in libreria con il suo settimo lavoro, esplorando un genere diverso dai precedenti, che sono stati invece romanzi, saggi e favole. Si intitola Madeira. Storie d’amore in pieno oceano (pp. 116, 12 euro, Bibliotheka) e la prima presentazione si terrà con il giornalista e critico cinematografico Boris Sollazzo il giorno dell’uscita, il 23 maggio, alle 18, al Satyrus Bar di Roma, un piccolo angolo suggestivo della Capitale, tra Villa Borghese e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Un libro diverso dal suo ultimo – Fantozzi dietro le quinte (Baldini+Castoldi, 2021) —, che invece aveva dedicato alla figura del padre Paolo, attore, scrittore e sceneggiatore – nonché un appassionato di cibo (spesso fino all’eccesso) —, di cui cura l’eredità artistica (vedi il meraviglioso documentario Mostruosamente Villaggio, disponibile su Raiplay, che ha co-sceneggiato con Paola Jacobbi e Fabrizio Corallo). In questo periodo, e più precisamente il 27 marzo prossimo, ricorrono i 50 anni di Fantozzi, il primo film (in totale saranno 10) della leggendaria saga cinematografica del Ragioniere Fantozzi e diretto da Luciano Selce. Fu tratto dall’omonimo romanzo di Villaggio, che rappresentò il primo di 48 racconti, pubblicati fino al 25 novembre del 1971. Per festeggiarlo, la Cineteca di Bologna, in collaborazione con RTI e Mediaset Infinity, porterà nelle sale italiane il restauro del Ragioniere. E proprio in questi giorni è in uscita anche una ristampa de Le lettere di Fantozzi, terzo libro da cui ha preso spunto la saga, uscito nel 1976 per Rizzoli e oggi rieditato da Rogas Edizioni.
Una serie che gli portò fortuna, anche se le vere porte del successo si erano già aperte prima, davanti a una focaccia al formaggio, a Genova, con Maurizio Costanzo...
«Mio padre per hobby si esibiva in una compagnia goliardica di Genova, la Baistrocchi. Era stato notato dall’impresario Ivo Chiesa. Erano gli anni ‘60, una sera capitò che al Teatrino di piazza Marsala gli chiese di sostituire Enzo Jannacci, che aveva dato forfait all’improvviso per indisposizione. Tra il pubblico c’era Costanzo, che era venuto apposta per vedere Jannacci. Alla fine dello spettacolo si avvicinò a mio padre. “Guardi, vorrei parlarle”, gli disse. Mio padre lo portò quindi a mangiare la famosa focaccia dalla “Manuelina” a Recco. E lì, insomma, lo invitò a scendere giù a Roma per esibirsi nel suo cabaret, il “7x8”. Mio padre all’epoca lavorava ancora come impiegato alla Cosider. Si consultò con mia madre, la quale gli disse di provare. Se non fosse andata bene, poco male, sarebbe tornato a fare l’impiegato».
Non tornò più a fare l’impiegato...
«No, da lì iniziò il suo percorso che lo portò alla notorietà».
Com’è stata la sua infanzia romana?
«Sono arrivata a Roma in terza elementare. Ero contenta di vivere lì. Ho avuto un’infanzia normale. Vivevamo in un comprensorio nuovo, attorno non c’era quasi nulla, se non un terreno mezzo abbandonato, all’epoca ci passavano le pecore. Saremo stati 50 bambini in tutta l’area e quando tornavamo da scuola, trascorrevamo l’intero pomeriggio fuori. Che piovesse, che ci fosse il fango, eravamo molto liberi, ci controllavamo a vicenda. Mi ricordo che ci piaceva un sacco giocare con i girini».
Dopo gli studi in Filosofia a Bologna, decide però di partire per gli Stati Uniti. Perché?
«Ero stufa di essere “la figlia di”, avevo bisogno di cambiare aria. Dovevo stare lì qualche mese, sono andata da mezza turista, ma alla fine ci sono rimasta cinque anni. Ho fatto un corso di Cinema a Los Angeles al USC (University of South California) e lì è nato anche mio figlio Andreas».
Come ha visto cambiare suo padre?
«I cambiamenti maggiori che ho visto sono stati nel periodo da quando lavorava a Genova come impiegato e non era soddisfatto del suo lavoro a quando ha iniziato a esibirsi e ad avere un rapporto con il pubblico. Man mano ho notato che era sempre più contento del suo lavoro».
Si ricorda la prima volta di Fantozzi al cinema?
«Certo, era il 27 marzo del 1975. La proiezione ufficiale a Roma era al cinema Barberini (e qui tornerà anche per l’anniversario). Mio padre mi dette disposizione di non farci riconoscere e, facendo finta di nulla, capire quando e se il pubblico rideva. Mio fratello invece fu trascinato da mio padre con cui andò in alcuni cinema periferici per lo stesso motivo, in incognito, ovviamente».
Ora escono anche le Lettere di Fantozzi, il terzo libro della saga:
«Si, a 49 anni di distanza dalla prima uscita, in concomitanza con il 50esimo del film».
Come suo padre anche lei si dimostra essere poliedrica. E dopo aver scritto saggi, romanzi, fiabe, ora torna in libreria con una raccolta di racconti su Madeira. Che legame ha con l’isola portoghese?
«Ci sono stata due anni fa, ho letto qualche libricino ambientato lì, ma c’è poca roba. È stata d’ispirazione per la mia prima raccolta di racconti, che narra la storia dell’isola dal 1400, quando i portoghesi la scoprirono, a oggi. Sono 15 e riguardano tanti personaggi, come la principessa Sissi, Churchill, Cristoforo Colombo, che sono passati di lì e ho provato a inventarmi ciò che pensavano. Racconto anche di storie d’amore nate sull’isola, come quella di un uomo da affari, figlio di una ricca famiglia che in viaggio, tornando con la nave, si fermò lì per una tempesta, tra le due guerre mondiali. Rimase ammaliato da una ragazza e per questo mollò tutto e si trasferì sull’isola, dove aprì il Ritz Café. C’è poi la storia di quelli che furono probabilmente i fondatori dell’hotel che oggi sull’isola è di proprietà Belmond: Churchilll, quando andava in vacanza a Madeira, dormiva lì. Una parte dell’isola oggi sembra Montecarlo, ma c’è anche una parte più selvaggia, fatta di magnifici camminamenti».
Con il libro Fantozzi dietro le quinte (ma poi anche con Mostruosamente villaggio e Com’è umano lui!, rispettivamente biopic di Valeria Parisi e film di Luca Manfredi con Luza Bizzarri, realizzati grazie anche al suo lavoro), che cosa voleva emergesse di suo padre?
«Volevo raccontare qualcosa che non si trovasse nei film, in tv o sui giornali, una parte più intima di lui vista da me bambina e poi da grande, facendo emergere anche nuovi dettagli. Ad esempio che il personaggio Kranz lo aveva pensato già agli inizi degli anni ’60».
Che cosa diceva suo padre dei primi libri che lei pubblicò?
«Gli erano piaciuti. Di uno, Una vita bizzarra (pgg. 240, Città del sole edizioni, 2013) ha scritto anche la prefazione. Ma comunque faceva pochissimi complimenti».
Perché?
«Non gli piacevano le smancerie e un po’ perché forse non voleva noi figli ci sedessimo sugli allori».
Uno dei grandi amici di suo padre, Fabrizio De André, nel descrivere il loro primo incontro, disse che suo padre «era tormentato, inquieto» come lui. Perché lo era secondo lei?
«Lo era nello spirito. Credo che le persone intelligenti abbiano tutte un po’ di inquietudine».
Seppur inquieto, comunque, con De André si divertiva parecchio...
«Sì, sì inventavano tante storie, esageravano, erano paradossali».
Suo padre era anche un grande amante del cibo...
«Era un golosone. Poi, essendo una persona curiosa, quando eravamo all’estero al grande ristorante preferiva il cibo da strada, tanto importante quanto visitare un museo perché credeva che dal cibo si capisse com’è un Paese».
In un’intervista lei ha raccontato che con il cibo era incontrollabile, non dava retta a nessuno. E poi che usciva dagli studi e si infilava in negozi di formaggi e dolci, pur avendo il diabete. Perché secondo lei aveva questo rapporto particolare con il cibo?
«Lui raccontava che gli faceva da ansiolitico. Di notte, quando non riusciva ad addormentarsi, mangiava. Al ristorante ordinava tutto il menu, anche se alla fine si limitava ad assaggiare un po’ di tutto».
C’è una cena o un pranzo che ricorda in particolare con lui?
«Amava i ristoranti etnici. Quando aprì il primo cinese a Roma mi ricordo che ci andammo, anche all’inaugurazione del giapponese. Era informatissimo su queste novità».
Di che cosa andava più ghiotto?
«Dolci, formaggi e pizza».
È noto anche che lottasse abbastanza contro le diete, che spesso iniziava ma non finiva?
«Ha provato varie diete, ma duravano cinque minuti. È andato anche in vari centri dimagranti, a Merano da Henri Chenot e sul lago di Garda. Tuttavia non resisteva, era più forte di lui. E finiva che usciva di nascosto e si comprava una pastarella».
Quando nel 1992 ricevette il Leone d’oro alla carriera da Gillo Pontecorvo, che quell’anno diresse la Mostra del cinema di Venezia, disse che grazie a lui era la prima volta che un comico veniva riabilitato da vivo. Per questo lo ringraziò, promettendogli che avrebbe mangiato di meno. Successe davvero poi?
«Ovviamente no, forse per una settimana è rimasto a stecchetto. Quando voleva mangiare era impossibile bloccarlo, neanche mia mamma ci riusciva, che poi lei nemmeno cucinava a casa».
Come sta sua madre, Maura Albites, e come vive il ricordo di suo padre?
«Vive a Genova, ho un ottimo rapporto con lei. Al lavoro di mio padre non si è mai interessata, non la incuriosiva. È come se avesse fatto la moglie di un dentista, non quella di Paolo Villaggio».
Suo padre è stato ricordato opportunamente?
«Sì, con un grandissimo affetto da parte del pubblico. Anche attraverso i social ricorrono spesso le sue frasi. E per lui questo era importante, era importante il riscontro del pubblico».